EDITORIALE

Ha vinto il centrodestra. Soprattutto ha vinto Berlusconi. Ai 5 Stelle non è riuscito il colpo gobbo che avevano messo a segno a Torino e a Roma, e tuttavia il movimento di Grillo prende un sacco di voti. Resta però ancora un sogno quello di poter governare una regione. La piccola alleanza messa insieme dal partito democratico ( con Alfano e alcune liste civiche) invece ha fatto flop. Non tanto in termini di voti, perché il partito democratico più o meno ripete i risultati delle ultime regionali ( nonostante le varie scissioni subite, l’ultima e la più grande nel 2017), ma in termini politici. Il partito democratico non è riuscito a contrapporre qualcosa di solido all’operazione- unità che invece è riuscita a Berlusconi. Anzi, ha pagato il prezzo alto di una divisione molto aspra e molto enfatizzata.

La lista guidata da Claudio Fava, che si è contrapposta al Pd, non ha brillato ( i voti sono gli stessi di cinque anni fa, nonostante l’arrivo di Mdp, cioè di Bersani e D’Alema) ma è molto probabile che abbia provocato dei danni seri al centrosinistra, sia perché gli ha sottratto parecchi voti, sia perché le liti asperrime hanno portato a una caduta della credibilità.

Cosa sarebbe successo se la sinistra fosse andata unita al voto non possiamo saperlo. Certo se si sommano i voti di lista ottenuti dal centrosinistra e quelli ottenuti dalla sinistra radicale si ottiene quasi il 30 per cento, mentre il candidato del Pd ha preso appena il 18 e Claudio Fava il 6. È ragionevole immaginare che se si fossero uniti e avessero trovato un candidato di prestigio avrebbero superato i 5 Stelle e avrebbero potuto correre per la vittoria. Anche perché i 5 Stelle hanno ottenuto con il loro candidato molti più voti rispetto a quelli raccolti con la lista, e probabilmente questi voti li hanno presi proprio dal voto disgiunto del Pd, dovuto, si direbbe, alla debolezza del candidato. Insomma, non è affatto un risultato facile da leggere. Né è facile prevederne le conseguenze. Anche perché è abbastanza probabile che le liste che sostenevano Musumeci, il quale è stato eletto presidente della regione, non avranno voti sufficienti in consiglio regionale per governare. Dovranno cercare alleanze, ma non sarà facile trovarne.

Comunque ora inizia la campagna elettorale nazionale. Non sappiamo ancora quanto durerà: forse si voterà a febbraio- marzo, forse un paio di mesi più tardi. L gara però è già iniziata. Formalmente avrebbe dovuto avere il gesto d’avvio proprio oggi, sulla Tv La 7 col duello tra Di Maio e Renzi. Era stato Di Maio a lanciare la sfida e Renzi l’aveva subito accettata. Poi di Maio aveva preteso di stabilire lui il campo da gioco ( appunto la 7, Tv sempre tenera coi 5 Stelle) sperando forse che Renzi non accettasse, ma Renzi ha accettato. Infine Di Maio se n’è fregato un po’ del senso dell’onore - chiamiamolo così - e ha pensato che fosse meglio rimediare una figuraccia piuttosto che prendere una batosta in diretta. E ha disdetto l’impegno. È probabile che non pagherà un prezzo troppo alto a quest’infortunio clamoroso, perché il suo elettorato è abbastanza impermeabile agli scivoloni dei 5 Stelle.

Della campagna elettorale che si sta aprendo sappiamo per certe due sole cose. Il centro destra dopo il buon risultato siciliano si presenterà unito. Anche se non sarà una passeggiata firmare l’accordo, perché i punti di dissenso sono tanti: dai candidati, al programma, alla scelta del possibile premier. I tre tronconi del centrodestra su molti argomenti sono in netto dissenso l’uno con l’altro. La vicenda siciliana però dimostra che il “ deus ex machina” resta Berlusconi, e questo potrebbe semplificare alcune cose. La seconda cosa che sappiamo è che i 5 Stelle hanno la strada tracciata: sparare a palle- incatenate sul quartier generale o su qualcosa che gli assomiglia. Improbabile un risultato clamorosamente positivo, ma improbabile anche una sconfitta. Il candidato premier? Quasi certamente resterà Di Maio, anche se il suo appeal è scarso assai al di fuori del movimento. A meno che all’ultimo momento non si decida di giocare una carta ad effetto, come un magistrato famoso o magari direttamente Marco Travaglio. Però al momento questa ipotesi non è probabile, anche se decisamente suggestiva.

Infine la sinistra. Qui le cose sono più complesse. La sinistra ha davanti a se due problemi. Il primo è trovare una forma possibile di unità, altrimenti nei collegi perde. Il secondo è “riavvicinarsi” un pochino ai bisogni del popolo, soprattutto del ceto medio. Che negli ultimi anni è stato lasciato spesso in disparte. La sinistra dovrebbe riuscire a far capire che il suo elettorato è quello e che gli preme difendere quegli interessi. Dei dipendenti, dei lavoratori autonomi, delle professioni. Recentemente su questo piano ha peccato abbastanza. Diritti del lavoro, scuola, difesa delle professioni, pensioni. Sono i temi scottanti sui quali la sinistra si gioca tutto. Forse se Pd e Mdp invece di continuare a litigare tra loro sul ruolo di Renzi cercassero di mettere in pratica un po’ di idee su questo terreno, sarebbe meglio, no?

Se riusciranno a farlo torneranno competitivi. E in campagna elettorale ci troveremo di fronte a tre schieramenti con pari possibilità di vincere. Poi, come farà, chi vince, a governare, è un’altra questione, ma ne parliamo un’altra volta.