È la forza gentile della narrazione, una corrente limpida come il respiro, l’energia verbale che attraversa Tre donne. Una storia d’amore e disamore, il nuovo romanzo di Dacia Maraini.

L’autrice riporta al centro della sua scrittura le figure femminili ponendole dentro una tessitura finissima, fatta di sfumature, dettagli, metafore. Le donne richiamate dal titolo sono una nonna, Gesuina, una madre, Maria, e una figlia, Lori: tre generazioni che vivono insieme dentro una casa senza uomini.

Gesuina è stata attrice, ma in realtà sognava di studiare medicina, ora fa iniezioni a pagamento. Ha un cuore innamorevole che i suoi sessant’anni non hanno per nulla spento, anzi. Ha un grande senso di libertà, non teme la tecnologia, gli amori virtuali, ma adora soprattutto i baci del fornaio. Nel romanzo sono riportati i pensieri che fissa grazie a un registratorino portatile.

Maria è traduttrice, sta completando la versione italiana di Madame Bovary, con il suo impegno instancabile e i pochi ma puntuali soldi che le dà l’editore mantiene sia la madre Gesuina che la figlia Lori. Conosciamo la sua voce attraverso le lettere che spedisce a François, il suo fidanzato francese.

Lori è un’adolescente alla ricerca di se stessa, preda delle molte confusioni della sua età, tenta di determinarsi e di aggredire l’esistenza senza troppe riflessioni, la sua figura ha caratteristiche tipiche del romanzo di formazione.

Di lei sappiamo tutto grazie alle pagine del suo diario.

Tre donne, tre linguaggi, tre diverse forme di comunicazione, tre maniere differenti di amare. Da queste premesse prende avvio la vicenda, che, con una trama chiara e distinta ma non priva di sorprese, riesce a riempire di attesa lo sguardo assorto del lettore. Lori infatti ha un segreto e per molte pagine ci chiederemo se e come e da chi sarà rivelato. Ma altro motore per la nostra curiosità saranno le conseguenze di questa rivelazione, che ci terranno lì, inquieti, fino all’ultimo, nel desiderio di non interrompere la lettura.

Con una scrittura danzante, che non stanca mai, il testo pone domande, ci interroga sul valore della verità, chiedendoci se sia responsabile dirla sempre e comunque, al di là degli effetti che essa potrà produrre.

Le tematiche che emergono sono molteplici, una, ad esempio, quella della lentezza, nasce dalla stessa scelta narrativa dell’epistola ed è Maria a parlarcene: «[…] la lentezza ha un suo valore nascosto ma profondo: la lentezza del pensiero, la lentezza della parola, la lentezza della scrittura, il grande privilegio di un tempo di sciatte velocità; la lentezza che pianta i semi nella carne, allunga le sue radici, cresce, si fa foglia, fiore, albero, il respiro dell’universo». Il contrasto tra lentezza e velocità, come quello tra concretezza e virtualità, tra vecchiaia e giovinezza, investe anche le relazioni che le tre donne instaurano con i loro compagni, e i differenti approcci ci portano a riflettere, mettono in dubbio alcune certezze.

I tre personaggi godono di una complessità psicologica e di una tale profonda capacità di evolversi che le domande e le risposte suscitate nel lettore non sono mai scontate. Rossana Rossanda, nella prefazione a Isolina, scrive: «Dacia Maraini è una scrittrice della realtà difficile, quella che si vede e non si vede. Non la dipinge, la interroga». Questa scrittura interrogativa non perde tempo a giudicare i suoi personaggi o le vicende, piuttosto si sforza di capirli, di trovare un senso o di suscitare nel lettore questa ricerca di senso. La mano dell’autrice non si pone al di sopra degli altri, ma, anzi, raccontando la storia, insegue i vissuti individuali, immergendosi nei diversi punti di vista, offrendo varchi verso nuove e differenti possibilità di lettura.

Negli intrecci dei suoi romanzi la Maraini è quasi sempre lineare, anche qui, non rincorre fumose moltiplicazioni dei piani narrativi alla ricerca di una sospettabile modernità, come fanno invece molti nuovi narratori. Se la trama è di raso puro, i personaggi sono però damascati, e anche Gesuina, Maria e Lori sono state scolpite ponendo attenzione al minimo dettaglio, in una discesa verticale e profonda che l’autrice ha compiuto alla ricerca della loro verità. Basti pensare al fatto che ogni protagonista ha un suo preciso lessico, i suoi tic sintattici, il suo registro, che può mutare, tuttavia, seguendo l’evoluzione del personaggio.

Così Gesuina avrà una parlata disinibita e audace, Maria un parlare letterario, immaginifico, influenzato dal suo mestiere di traduttrice, Lori un modo d’esprimersi meno controllato, tipico di molti suoi coetanei. Questo studio della parola e dell’espressività è, senza dubbio, uno degli aspetti più affascinanti del romanzo. La Maraini percepisce infatti l’usura a cui vanno incontro certi modi di dire, certi aggettivi, certi accostamenti e ne crea allora di nuovi, servendosi spesso di similitudini e metafore che sorprendono il lettore. Gesuina definisce Maria «fragile come un uovo di giornata» oppure «distratta come una rosa invernale». Per Lori invece il tatuatore Mario ha «gli occhi da gallina», il nonno «gli occhi vicini, un poco da falco», mentre sotto la mano di Gesuina che fa le iniezioni può capitare un sedere «grinzoso come il collo di un tacchino». Efficaci e anche divertenti sono poi alcune immagini, ad esempio quella degli uomini che ingrassano: «Chissà perché gli uomini mettono su una pancia così grossa, così protundente, sembra che abbiano nostalgia di un bambino». O la descrizione dell’amore virtuale tra Gesuina e Filippo: «[…] ci amiamo senza esserci mai visti, così, per vocazione parallela». Nel bel mezzo della narrazione può capitare che l’attualità faccia irruzione. Quest’estate, mentre ultimava il romanzo nella sua casa di Pescasseroli, la scrittrice sentiva il frullio d’eliche dei canadair che andavano ad attingere acqua dal lago di Villetta Barrea per scaricarla sui boschi in fiamme dell’Abruzzo. Questo pensiero attraversa allora anche la mente di Gesuina: «La campagna brucia. I boschi sulla collina bruciano. La città è minacciata dal fuoco. Molte case sul poggio sono state evacuate e presto divorate dalle fiamme. Dicono che sono tutti incendi dolosi […]».

Certamente, però, le tematiche attuali più importanti che emergono dalla lettura della storia riguardano la dialettica tra le generazioni o l’aborto, questioni su cui l’autrice si è sempre interrogata.

Dacia Maraini ha plasmato dentro di sé per molti anni questo romanzo e in esso sembrano confluire aspetti di tanti personaggi nati dalla sua penna. Nella struttura di base potremmo infatti riconoscere la protagonista di una commedia scritta nel 1981, Mela, che, come Gesuina, viveva in casa con la figlia e la nipote, era pervasa dalla stessa vitalità e citava anche lei Goldoni a memoria. Vi sono poi echi di altre commedie dell’autrice, come se questa storia fosse lievitata con dolcezza, nel tempo, fino a trasformarsi finalmente in un romanzo, in cui la trama riesce a restare cristallina, nonostante la struttura narrativa sia piuttosto articolata, per via delle tre diverse voci e dei tre differenti canali di comunicazione di cui le donne si servono.

Una storia d’amore e disamore recita il sottotitolo, perché ci sono stati giorni di amore ricevuto e dato e giorni di dimenticanza di sé, nella storia di queste tre donne. E forse la Maraini vorrebbe proprio invitare Gesuina, Maria e Lori ad aumentare il ricordo, l’amore di se stesse nella loro storia, che poi è la storia di tutti noi.