LO STRALCIO DALLA MANOVRA DELLE NORME PER GLI AVVOCATI

È istruttiva, la lettura, per almeno due motivi. Il primo è comprendere in che modo il Parlamento escluda o metta in salvo misure importanti per i cittadini, in certi casi, o per alcune categorie di cittadini, come l’equo compenso per gli avvocati, o per alcuni gruppi di interesse, come le banche. La parola chiave è flessibilità. Che non è una questione di approccio al mercato del lavoro ma di adattabilità dei princìpi agli interessi in gioco. Tanto per essere chiari: se gli interessi sono quelli delle banche, le maglie si allargano; se si tratta dei diritti degli avvocati vessati dai “committenti forti”, banche comprese, le maglie si stringono. A volte, come è successo martedì scorso, senza una chiara spiegazione.

IL VICEPRESIDENTE MANDELLI ( FI) VOTA CON TONINI

L’altro motivo di interesse è più specifico, e riguarda appunto la seduta della commissione Bilancio tenutasi l’altro ieri sotto la presidenza del senatore pd Giorgio Tonini. Era proprio la riunione convocata per formulare il parere, da sottoporre al presidente del Senato Pietro Grasso, su eventuali inammissibilità di parti della Manovra ai sensi di una legge del 2009, la numero 196, che prescrive di non accogliere nella sessione di Bilancio misure “di carattere ordinamentale” e “prive di effetti finanziari”. È molto interessante il resoconto di martedì scorso, ma lo è anche il fatto che quella norma di 8 anni fa è stata spesso disattesa dallo stesso Tonini ( dem di osservanza renziana) come presidente della commissione Bilancio e dai suoi predecessori. In quali casi? Spesso circostanze che mettevano in gioco aspettative dei soliti grandi soggetti economici e finanziari, come ricordato nella scheda pubblicata in questa pagina. Sulla “rigorosa” selezione con cui l’attuale commissione Bilancio di Palazzo Madama ha esclusi l’altro ieri quattro norme dalla Manovra, compresa quella sull’equo compenso per gli avvocati, vale la pena di ricordare che il presidente Tonini ha messo ai voti una proposta di parere votata da quasi tutti gli altri componenti della quinta commissione, compreso il vicepresidente Andrea Mandelli di Forza Italia. Tutti tranne una: la senatrice della Lega Silvana Comaroli. Colpisce il fatto che nell’elencare già nel suo primo intervento le sei norme a rischio ( una, quella sulla Agenzia meteo di Bologna, verrà poi messa in salvo e tenuta in Manovra), Tonini dedichi una qualche pur sintetica spiegazione per ciascuna di esse. Quando arriva all’articolo 99, quello sull’equo compenso per gli av- vocati nei rapporti, oggi squilibratissimi, con banche, assicurazioni e grandi imprese, se la cava così: «C’è quindi l’articolo 99, relativo all’equità del compenso degli avvocati avvocati iscritti all’albo nei rapporti professionali regolati da convenzioni». Motivi specifici della proposta di esclusione? Nessuno.

Li avesse esposti, Tonini avrebbe dovuto segnalare che le norme per la professione forense non erano state inserite in Manovra da un hacker: vi hanno trovato posto per specifica volontà della sottosegretaria alla Presidenza del Consiglio Maria Elena Boschi, con l’avallo del premier Paolo Gentiloni e del ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, oltre naturalmente che del guardasigilli Andrea Orlando, estensore di quelle misure. Non solo. Tonini sarebbe stato costretto a insinuare il tarlo del dubbio negli altri senatori della commissione. A dire cioè che le norme sulla nullità dei compensi iniqui e delle clausole vessatorie imposte dalle banche negli incarichi agli avvocati sono accompagnate da una sanzione per la parte soccombente in giudizio, i cui proventi sono destinati a un fondo di garanzia, e dunque ad alimentare la finanza pubblica.

L’ECCEZIONE PER LA MISURA CHE INTERESSA LE BANCHE

Ma non è finita qui. Riguardo alla seduta della commissione Bilancio di martedì scorso è interessante anche il confronto fra il silenzio sui motivi dell’esclusione dell’equo compenso e le spiegazioni dedicate alla difesa di un articolo della Manovra che interessava invece le banche, spiegazioni offerte sia da Tonini che dal viceministro Enrico Morando. È la leghista Comaroli a segnalare che l’articolo 100 riguarda «strumenti di debito chirografario di secondo livello» e che la materia non ha «legami con la finanza pubblica». E già: le banche non sono pubbliche. Tonini conviene che «si tratta di un profilo controverso: tuttavia», dice, «sono emersi gli impatti rilevanti sul sistema economico generale, ancorché non direttamente sul bilancio dello Stato». Restituire dignità agli avvocati, che sono 240mila, produrrebbe “impatti rilevanti”? Morando ammette che la disposizione potrebbe «non avere effetti diretti ed immediati sulla finanza pubblica», ma evidenzia che «il percorso di integrazione delle banche italiane nel sistema europeo e di attuazione della direttiva Brdd possiedono rilevanza primaria per il futuro del sistema economico nazionale». La cinquestelle Elisa Bulgarelli non è convinta: «Meglio mettere questa norma sulle banche nel decreto fiscale». Tonini ne prende atto e invita però a «considerare la difficoltà di escludere dal testo misure dirette al sostegno della crescita economica, essendo valutate positivamente altre azioni con il medesimo scopo». Addio rigore nei criteri sul carattere “ordinamentale” da ritenere pregiudizievole. La leghista Comaroli controbatte: «Serve un criterio di giudizio rigoroso, qualsiasi norma può avere conseguenze economiche… non possiamo circoscrivere l’ambito delle materie da escludere». Non sarebbe opportuno tenere dentro l’articolo 100 sulle banche. Invece avviene. Comaroli è l’unica a votare contro, il parere proposto da Tonini passa con larghissima e trasversale maggioranza. E il presidente del Senato Pietro Grasso, poche ore dopo, non potrà far altro che fare proprio il parere come da prassi, ed escludere l’equo compenso dalla Manovra.