Non si sa se durante il suo tour siciliano Berlusconi deciderà di parlare delle nuove accuse contro lui e Dell’Utri quali ( possibili) mandanti della stagione terroristica del 1993. Potrebbe dire - ma giusto per inseguire i voti di domenica prossima e guadagnarne qualcuno in più dato che l’episodio si presta a farne un perseguitato - che da Palermo sono arrivate carte giudiziarie a Firenze provocando la ( ri- ri) apertura delle indagini in cui i due sono ( ancora una volta) accusati di aver chiesto a Cosa nostra un aiutino per impadronirsi dell’Italia vincendo le elezioni del 1994 ( quando effettivamente Berlusconi stravinse).

Intercettato in carcere Giuseppe Graviano, il mafioso diretto collaboratore di Totò Riina, nel corso di un colloquio altamente incomprensibile, sussurra al suo interlocutore ( sicuro di essere intercettato? per spacconaggine e millantato credito? per mandare un misterioso messaggio non si sa a chi?): «Berlusca (…) mi ha chiesto questa cortesia (…) in quel periodo c’erano i vecchi (...) lui mi ha detto ci vorrebbe una bella cosa…». L’ipotesi da verificare con questa ( terza) indagine è se Berlusconi nel 1993, interessato a mostrare un’Italia fuori controllo e in preda al disordine, avrebbe chiesto a Cosa nostra un bel grappolo di attentati terroristici ( una bella cosa) per far crescere la tensione alle stelle a togliere credibilità alle vecchie classi dirigenti ( i vecchi) e così proporsi come l’uomo in grado di riassestare l’Italia. Insomma, un progetto per facilitare la conquista del potere. Da qui le bombe di via Fauro a Roma, gli attentati in via dei Georgofili, la strada alle spalle degli Uffizi, che provocò cinque vittime con un’autobomba di quasi 300 chili di esplosivo, e le bombe di Roma e Milano dell’estate del 1993. Per non dire delle minacce diffuse e continue secondo cui le spiagge della costa adriatica erano state inzeppate di siringhe sieropositive ( era il tempo in cui era scoppiato il terrore per l’Aids).

Di curioso c’è che le intercettazioni fanno parte del blocco accumulato dai magistrati di Palermo durante le indagini sull’accordo tra mafia e Stato e sul mitico “Papel- lo” ( edizione Massimo Ciancimino) dove Cosa nostra avrebbe fissato le proprie richieste allo Stato per riportare la calma nel paese sotto pressione per l’attacco mafioso scatenato in Sicilia con una raffica di attentati e omicidi culminati con la morte di Falcone e Borsellino. Curioso perché la mafia in questa ricostruzione mentre è impegnata col “Papello” a fare un accordo con lo Stato garantendo di poter assicurare il ripristino dell’ordine e della tranquillità, si sarebbe anche impegnata con Berlusconi per creare il massimo possibile di disordine consegnandogli l’Italia. Il quadro, insomma, racconta una Cosa nostra che imbroglia lo Stato per favorire Berlusconi, o imbroglia Berlusconi per favorire lo Stato, o s’imbroglia da sola perché sull’orlo di una crisi di nervi; magari quella seguita alla botta micidiale ricevuta col maxiprocesso di Falcone e Borsellino.

Fatto è che sulle stragi del 1993 “Autore 1” e “Autore 2”, i nomi criptati di Berlusconi e Dell’Utri nel tentativo inutile di nasconderli alla stampa, sono stati già indagati per due volte dalla procura di Firenze e una volta da quella di Caltanissetta. Inchieste tutte regolarmente archiviate nonostante ogni volta fossero state arricchite da qualche particolare.

Anche questa nuova indagine presenta nuovi elementi. Anche se i due più diffusi quotidiani italiani ( Corsera e Repubblica) che hanno avuto in tempo reale, simultaneamente e in esclusiva, le carte dell’inchiesta e le ( stesse) intercettazioni a base delle accuse ( migliaia di pagine) trattano la vicenda con molta cautela. Bianconi sul Corsera addirittura avverte che è molto difficile che l’inchiesta «a distanza di tanto tempo possa portare a qualcosa di concreto». Tradotto: aria fritta. Mentre Repubblica sceglie di non schierare il suo più esperto mafiologo. Del resto, su quelle intercettazioni Graviano, già interrogato in un precedente processo, s’è avvalso della facoltà di non rispondere. Mentre Nicolò Ghedini, avvocato di fiducia del Cavaliere, chiede a Orlando di far chiarezza sulla fuga di notizie ( s’è consumata a Palermo o a Firenze?) e ricorda che Berlusconi non ha mai incontrato in vita sua «il signor Graviano». L’impressione è che siamo agli ( ultimi?) fuochi della megainchiesta sulla trattativa tra Stato e mafia, avviata a partire dal “Papello” che è stata il supporto fondamentale per la crescita di un certo movimento antimafia che una volta istituzionalizzatosi in associazioni e movimenti ha conosciuto, anche a giudicare delle recenti prese di distanza di personaggi autorevolissimi e al di sopra di qualunque sospetto, esiti imbarazzanti e perfino giudiziari. Mario Mori, generale dei carabinieri che avrebbe condotto la trattativa è stato ripetutamente assolto, assieme ai suoi collaboratori dall’accusa. Idem, Calogero Mannino, il politico garante. Solo se si passa dagli addetti ai lavori ( pentiti, giornalisti, magistrati, leader dell’Antimafia) agli studiosi ci si comincia a raccapezzarsi. Scrive il giurista Fiandaca ( Laterza, 2014) sulla trattativa mafia- Stato: La suggestione di oscure trattative nascente da una articolata regia di Signori del Male ( boss mafiosi, politici collusi, massoni deviati, carabinieri infedeli, in criminoso concorso con agenti segreti) non solo è dura a morire, ma viene continuamente alimentata da una informazione televisiva e da una pubblicistica ormai specializzata e propensa a «spararla sempre più grossa pur di attrarre telespettatori e lettori». E lo storico Salvatore Lupo, anche lui come Fiandaca proveniente da una cultura di sinistra, nello stesso volume, conclude lapidariamente il suo saggio: «Azzardo una previsione. Nei prossimi anni, qualsiasi cosa accada, gli opinion makers continueranno imperterriti nella celebrazione dell’invincibilità della mafia». Titolo del libro: “La mafia non ha vinto”.