Il Parlament catalano ha dichiarato l’indipendenza. Con voto nominale segreto la dichiarazione ha ottenuto 70 sì, 10 no e 2 astenuti, mentre l’opposizione unionista era uscita per protesta. La regione spagnola autonoma di Catalogna non esiste più. Cosa ci sia adesso e cosa ci sarà domani è tutto da definire. E non sarà un processo facile. È stato il giorno del big bang in Spagna. La crisi catalana che si è trasci- nata a lungo fra minacciosi picchi e furbe ambiguità è arrivata al giorno delle decisioni vere. Non un punto di fine, ma l’inizio di qualcosa che ancora non si sa cosa sarà. In contemporanea a Madrid e Barcellona si è giocata la mossa decisiva della partita più importante. Con scelte tutte dal carattere imprevedibile. In realtà gli stessi uffici legislativi della Camera catalana avevano dichiarato che la mozione indipendentista era irricevibile e non poteva essere messa ai voti perché incostituzionale. Ma i capigruppo di maggioranza hanno deciso di andare lo stesso avanti e di fronte a centinaia di indipendentisti presenti dentro e fuori il palazzo hanno approvato la risoluzione mentre i gruppi politici unionisti uscivano dall’aula per estrema protesta. Il testo presentato dal blocco indipendentista Junts pel Sì e la Cup hanno proposto di creare in Catalogna una Repubblica in forma di Stato indipendente, riprendendo la dichiarazione di indipendenza che era stata firmata il 10 ottobre e subito sospesa. Nella proposta, i punti chiave parlano senza mezzi termini di promulgare «i decreti necessari per spedire alla cittadinanza catalana la documentazio- ne di accredito della nazionalità catalana» ; stabilire «il processo per l’acquisizione della nazionailtà catalana» ; stabilire «un trattato di doppia nazionalità con il governo della Spagna», dettare le disposizioni necessarie per l’adattamento, la modifica e l’applicazione del diritto locale, autonomico e statale; promuovere davanti a tutti gli Stati e le istituzioni il riconoscimento della Repubblica catalana; definire i nuovi trattati internazionali. Si chiede di avviare un processo costituente «che culmini con la redazione e l’approvazione della costituzione della Repubblica». A questo punto la Procura spagnola è pronta a denunciare per «ribellione» i membri del Governo e del Parlamento catalano, a partire da Puigdemont. La prima reazione del governo spagnolo è stata quella di far sapere che ricorrerà alla Corte Costituzionale.

Nello stesso momento a Madrid dopo che il premier Rajoy aveva respinto l’ipotesi del governatore catalano Puigdemont di fermare l’attivazione dell’articolo 155 della Costituzione in cambio di elezioni anticipate, il Senato si è espresso proprio in favore dell’inizio del commissariamento. E in serata si è tenuto un consiglio dei ministri straordinario. Rajoy ha sottolineato che «è giunto il momento di imporre la legge sopra a ogni altra considerazione, non contro la Catalogna, ma per impedire che si abusi della Catalogna. Non per sospendere l’autonomia, ma per consolidarla. Quello che minaccia oggi la Catalogna non è l’articolo 155, non è l’applicazione di un articolo costituzionale, ma il comportamento del governo della Generalitat. La Catalogna va salvata dai disastri che causano certe condotte anticostituzionali». «Quello della Catalogna è stato un processo continuo di decisioni antidemocratiche, contrarie alla legge e ai valori spagnoli e europei. Si sono calpestate le minoranze», ha aggiunto il premier, precisando che il processo innescato porterebbe «all’uscita dall’Unione europea, con tutto quello che questo significherebbe». «Ciò da cui i catalani devono essere protetti non è l’imperialismo spagnolo ma una minoranza che, in modo intollerante, vuole sottomettere chiunque al giogo della sua dottrina secessionista». «Non c’è alternativa» alla attivazione dell’art. 155 in Catalogna, perché bisogna «ricorrere alla legge per fare rispettare la legge», ha detto davanti al Senato Mariano Rajoy attribuendo al presidente catalano Carles Puigdemont la responsabilità per la situazione attuale: «a lui, e solo a lui» ha insistito.