È chiaro che bisogna tenere conto del dolore, della rabbia che provano i parenti delle vittime. Non credo che il problema siano loro. Il problema è il clima nel quale vivono. Il modo nel quale si costruisce quello che i filosofi chiamano lo “spirito pubblico”. La reazione dissennata dei parenti che hanno aggredito l’avvocato è maturata dentro lo spirito pubblico che oggi è dominante. E’ uno spirito pubblico intollerante, arrogante, egoista, giustizialista, che spinge ciascuno di noi a cercare di essere prima di tutto giudice severo e spietato. Il massimo della rettitudine morale la si raggiunge giudicando e non perdonando niente. È in questo modo che si contribuisce al miglioramento e alla pulizia della nostra società.

Naturalmente in questa idea non c’è posto per il diritto. E tantomeno per l’avvocato, che del diritto è protagonista decisivo. E di conseguenza l’avvocato, e la sua pretesa di far prevalere il diritto sull’etica, o sulla presunta etica, diventa il nemico. L’avvocato non è più visto come una figura essenziale al funzionamento di una comunità civile, ma come l’” arma” del colpevole. Neppure il complice: di più, lo strumento attraverso il quale il colpevole raggiunge la massima abiezione possibile che un delitto può produrre: l’impunità.

Se la vetta dell’etica è la punizione, vuol dire che l’infimo dell’etica è l’assoluzione. E l’avvocato è il garante, o almeno il ricercatore dell’assoluzione, e dunque il colpevole dell’assoluzione, e quindi è lui che commette il delitto più grande, più grande ancora del delitto commesso ( o forse anche non commesso) dall’imputato. L’imputato difende se stesso, l’avvocato difende il delitto. E quindi forse l’imputato è innocente, l’avvocato mai.

In questa logica terrificante, nella quale tutti i principi della civiltà giuridica vengono travolti, è chiaro che si giustifica pienamente anche l’aggressione di ieri a un avvocato di Pisa. Il problema è che non è una logica che appartiene a una piccola minoranza, a qualche brandello di “plebe”, e che è contrastata dall’intellettualità, dall’informazione, dalla politica. Il contrario: è il fondamento della nuova ideologia dominante, sostenuta dai grandi giornali, da quasi tutte le Tv, dalla politica, dal web.

Si dice che le ideologie siano morte. Non è vero. Sono morte le grandi ideologie del novecento, fondate sullo studio, sulla ricerca, sulla filosofia, sul tentativo di creare giustizia sociale e libertà, sull’illusione che la giustizia sociale potesse essere il motore della modernità. Sono morte le ideologie rivoluzionarie - pace, uguaglianza e lavoro – o quelle conservatrici o reazionarie – ordine e patria – ma è nata una nuova ideologia, fortissima, vastissima - trasversale tra sinistra e destra - che riproduce le vecchie idee ( vecchie vecchie) dell’aristocrazia. Questa ideologia sostiene che esiste un piccolo gruppo di eletti, di giusti, di puri, in grado di giudicare e punire la grande massa dei reprobi e dei corrotti. Ti dice: se vuoi dimostrare di essere tra i giusti devi giudicare e punire anche tu. Tanto più odierai gli altri e li indicherai come colpevoli, tanto più potrai dimostrare la tua purezza, la tua grandezza.

È un’ideologia che ogni giorno dilaga un po’ di più. Moltissime categorie intellettuali si sono prostrate a questo nuovo Dio che avanza. Forse gli avvocati sono gli unici che resistono. Si oppongono. Propongono un modello diverso e si aggrappano al Diritto.

Per questo sono indicati come bersagli dell’ira giustizialista. Per questo le persone che ieri a Pisa hanno aggredito un avvocato, oggi, probabilmente, non si pentiranno ma si sentiranno persone migliori.