Per capire meglio come si diventa il governatore più votato d’Italia per ben due volte, dal 2010, e come di fatto ci si conferma tale, seppur con un referendum per l’autonomia in cui lui non si stanca di ripetere che «ha vinto il Veneto» e non lui; ecco, per decifrare il segreto di quel “vangelo secondo Luca” che porta Zaia a oscillare sempre in un olimpo di cifre, magico di questi tempi magri per la politica, che viaggia tra il 50 e il 60 per cento e talvolta un po’ oltre, bisogna andare nel suo paese d’origine. Bisogna inerpicarsi ol- tre la ricca Treviso, gioiello dell’industrioso nord- est. E andare nelle campagne povere e sperdute intrise di storie di emigrazione negli anni ’ 40-’ 50, nelle quali sorge il paese d’origine di Luca Zaia: Bibano di Godega di Sant’Urbano, dove c’è, in mezzo alla campagna tra galline e i suoi amatissimi cavalli, la casa dei suoi genitori Carmela e Giuseppe, meccanico che emigrò in Argentina, dove c’è ancora la casa nella quale il governatore, con la moglie Raffaella, una cascata di riccioli rossi, segretaria in una piscina comunale da quando Zaia non era ancora Zaia, appena può torna lasciando gli stucchi di Palazzo Balbi sul Canal grande a Venezia.

Qui a Bibano agli esordi faceva venire le telecamere, raccomandando al decano degli inviati sulla Lega, Luciano Ghelfi, oggi quirinalista Rai per conto del Tg2: «Luciano, manda le telecamere al cimitero, tanto è l’unico posto riconoscibile». Lui, a differenza dei predecessori, è il Doge con «le scarpe sporche di terra», come si definiva quando era ministro dell’Agricoltura del governo Berlusconi e per Mondadori scrisse Adottare la terra, sottotitolo: “Per non morire di fame”. Zaia da ministro si fece amare anche al Sud, fece entrare la pizza napoletana Margherita nel novero delle specialità geografiche regionali. Lo fece a New York in un ristorante di Manhattan. Un nome che è stato il punto di svolta della sua gioventù, in cui per pagarsi prima il diploma alla scuola enologica di Conegliano e poi la laurea in scienze della produzione animale, rivendica con orgoglio: «Feci il muratore e il cameriere». E’ stato anche istruttore d’ippica, Zaia, ovvero l’uomo che sussurra ai cavalli, a cominciare da quel “Furioso 52”, il purosangue d’origine catalana che fu la mascotte della sua prima campagna elettorale in cui uscì governatore con il 61 per cento. Ma tutto nasce al “Manhattan”, ovvero la discoteca di Godega di Sant’Urbano quando nel 1985 «inventai i primi volantini da discoteca», ricorda sempre il governatore parlando del lato più allegro della sua gioventù, con quel gel che mette sempre sui capelli, per i quali si di- vertì non poco quando gli affibbiarono il nomignolo “Er pomata”. Zaia era il pr del “Manhattan”, grande organizzatore di feste che con lui erano gremitissime. Ancora adesso se gli chiedi le sue canzoni preferite spalanca gli occhi e sorride: «Ma come? Carlos Santana! Il più grande».

Cartizze e Samba Pa Ti, Zaia conserva tutta l’allegria di quegli anni ’ 80 da “discotecaro”. Anni in cui però si chiudeva anche in casa e studiava di brutto, soprattutto quel “Contratto sociale” di Rousseau di cui lui ha fatto il faro della sua vita da politico, stimatissimo nel salotto buono del gotha industriale veneto, dai Benetton, nonostante non si siano espressi a favore del referendum sull’autonomia, ai Zoppas che invece sono stati per il Sì, e apprezzato anche nel mondo delle gerarchie cattoliche, a cominciare dal Patriarca di Venezia. Ma temuto e apprezzato oggi anche dai Cinque Stelle. Quel ragazzo, con i capelli avvolti di gel, quel “Luca uno di noi”, con il quale lo chiama ancora oggi il popolo della Marca trevigiana, fu arruolato ventenne alle “Frattocchie” della scuola di Bossi. Il padre putativo di “Luca”, diventato a trent’anni il più giovane presidente di Provincia a Treviso, è l’ex gran capo della Liga Veneta Gianpaolo Gobbo che era il sindaco “buono” di Treviso insieme a quello che faceva la parte del “cattivo”, lo “sceriffo” Gentilini, prosindaco, che però fece anche allestire una mensa proprio per gli immigrati. Ovvero, quel mix strano di Liga veneta, a metà in camicia verde e a metà democristiana. Come democristiana è l’origine della famiglia di “Luca”, non a caso definito dallo stesso Bossi «leghista e gentiluomo». Tanto per dare un’idea della moderazione di Zaia, basta una frase sui gay: «Non ho nulla contro di loro, solo che le adozioni mi sembrano una estremizzazione degli affetti». Per il demo- leghista scese in campo anche un ristoratore cinese di Treviso. A fine marzo del 2010 lui, ancora oggi il governatore più votato d’Italia e ora plebiscitato da quel quasi 58 per cento di votanti e quel quasi 99 per cento di Sì all’autonomia, la fatidica attesa la trascorse un po’ con “Furioso 52” e poi nelle ore cruciali con “la Edi e la Laura”, le amiche di gioventù, ex cameriere del “Manhattan”, in un ristorante sul greto del Piave. Le ultime proiezioni dalla Tv lo davano a oltre il 60 per cento. “Luca” chiamò “Bobo”, Maroni, allora Ministro dell’Interno. «Mi sa che abbiamo un po’ vinto». Chiamò il “Capo” Bossi. Lui, il governatore più votato d’Italia, mantenne con i suoi generali un atteggiamento da soldato. Lo stesso che mantiene ancora oggi con il suo leader Matteo Salvini. Ma lui oggi più che della Lega è diventato un “soldato” del Veneto. Cosa che istituzionalizza la sua avventura. E che anche se lui ( conoscendolo anche personalmente da cronista c’è da credergli) non tradirà mai, come ha detto, il mandato di oltre 2 milioni e quattrocentomila veneti, lo rende una delle risorse più spendibili del centrodestra del futuro, un vero link tra Lega e Forza Italia.