Il trentatreesimo congresso nazionale dell’Anm si è concluso domenica scorsa. E’ tempo quindi di un primo bilancio. Il congresso cadeva, fra l’altro, a dieci anni dalla riforma dell’Ordinamento giudiziario. Una riforma non ancora completamente “metabolizzata” dalle toghe. Ma andiamo con ordine. Un punto da correggere è sicuramente, come evidenziato nella relazione del segretario nazionale Edoardo Cilenti, il sistema di accesso in magistratura.

Il concorso di secondo livello ha comportato un innalza- dell’età media dei neo magistrati, favorendo chi ha disponibilità economiche per sostenere un lungo periodo di studio. Il rischio è quello di avere dei “burocrati” che, raggiunto il traguardo, attendono lo stipendio sicuro alla fine del mese senza portare quel necessario valore aggiunto alla giurisdizione.

Le scuole di specialità, poi, hanno anche dimostrato di non garantire una formazione adeguata per preparare il concorso. La proposta è quella di tornare al sistema ante riforma, con il concorso subito dopo il conseguimento della laurea, potenziando però il tirocinio formativo. Se le modalità di accesso vanno riviste, i criteri di nomina dei capi degli uffici giudiziari non vanno toccati. Il parametro dell’anzianità è andato in soffitta senza molti rimpianti.

Basta con l’anacronistico sistema interno di promozioni automatiche al termine di una carriera senza inciampi, il c. d. vitalizio come lo ha chiamato il presidente Eugenio Albamonte, ma una valutazione fondata sul merito e sull’attitudine in grado di premiare le toghe più giovani che abbiano voglia di mettersi in gioco. Non hanno trovato molte sponde le proposte del gruppo di Autonomia& Indipendenza, la corrente dell’ex Pm di Mani pulite Piercamillo Davigo, di ripristinare il valore dell’anagrafe. Anzi, sul punto, l’intervento di Davigo non ha riscosso successo nella platea da dove si è levato anche qualche fischio. Certamente l’aumentata discrezionalità del Consiglio superiore della magistratura in tema di scelte, necessita di «trasparenza e comprensibilità», per evitare l’accusa di «correntismo».

Va detto che all’attuale dirigenza dell’Anm deve riconoscersi il merito di aver voluto instaurare un rapporto costruttivo con l’avvocatura dopo i momenti non proprio facili della presidenza Davigo. Agli avvocati le toghe chiedono «di accantonare temi particolari e corporativi come la separazione delle carriere e la discrezionalità dell’azione penale» e di rendersi piuttosto «disponibili a un confronto dal quale scaturiscano proposte di riforme condivise». «Avvocatura e magistratura, se unite nel proporre interventi di modifica legislativa, possono esercitare una forza di convincimento adeguata all’avvio di un serio percorso riformista. Una giustizia più efficiente restituisce fiducia, legittimazione e prestigio a entrambe le categorie, e a questo fine vanno rivolte le migliori energie», aggiungono le toghe.

Nota dolente, invece, la conflittualità tra magistratura e politica, che «genera una dannosa delegittimazione: soltanto l’interruzione di accuse e strumentalizzazioni potrà restituire alla opinione pubblica due fondamentali riferimenti democratici di ogni Stato di diritto». Un riferimento anche al «processo sociale di emersione e riconoscimento dei c. d. nuovi diritti, in cui occorre un intervento legislativo che possa orientare i cittadini e la giurisdizione.

Da tempo il giudice svolge un ruolo di supplenza per il vuoto legislativo su temi che toccano la vita del cittadino, ruolo che non gli compete e che lo sovraespone». Tema quello dei diritti molto caro alla segretaria di Magistratura democratica Mariarosaria Guglielmi. Da risolvere quanto prima, infine, l’organizzazione all’interno degli uffici di procura dove vige un sistema “gerarchico”. Al riguardo si attende a breve la circolare del Csm, come dichiarato dal vicepresidente Giovanni Legnini, il quale ha voluto sottolineare come il magistrato che ha svolto attività politica non debba ritornare nella giurisdizione.