Achille Campanile è morto nel ’ 77 e per le biografie ufficiali aveva raggiunto l’età di settantasette anni. Ma un dubbio è lecito: non c’era forse anche in questa coincidenza numerica l’eco della sua inventiva? Secondo la maggior parte delle fonti, il grande scrittore e umorista nacque il 28 settembre del 1900. Ma c’è chi, non senza motivi, ne ha dubitato. La stessa anagrafe del comune di Roma – andò a ispezionarla Oreste Del Buono, fan dello scrittore e prefatore delle sue opere – smentì che egli fosse nato nel 1900. E qualcuno disse che sarebbe stato lo stesso Campanile a far circolare la versione posticipata della sua venuta al mondo. «Forse non gli piaceva – commentò Del Buono – venire considerato un uomo dell’Ottocento».

Intellettuale poliedrico – giornalista, scrittore, commediografo, soggettista, sceneggiatore e anche critico televisivo – Campanile era nato a Roma e scomparve a Lariano, sempre nel Lazio, il 4 gennaio di quarant’anni fa. E tutta la sua vita era stata profondamente novecentesca. Suo padre, Gaetano Campanile Mancini, era stato nel periodo del muto uno dei maggiori sceneggiatori italiani oltre che caporedattore del quotidiano La Tribuna: intellettuale di notevoli interessi culturali, conduceva un’intensa vita di relazione e amicizie negli ambienti letterari della capitale. Anche per questo il giovanissimo Achille era riuscito a frequentare direttamen- te personaggi come Luigi Pirandello, Silvio D’Amico o Emilio Cecchi. Tanto che a soli undici anni d’età scrive Rosmunda, una sua parodia in cinque atti dell’omonima tragedia di Sem Benelli. Il destino era segnato, tutto all’insegna dell’umorismo. Di quel genere letterario che proprio all’inizio del secolo, nel 1908, aveva spinto Pirandello a scrivere un saggio in sua difesa contro il pregiudizio di Benedetto Croce e di tutta la tradizione accademica italiana che negava la dignità di espressione artistica a tutte le opere umoristiche. Sulla scorta della rivalutazione pirandelliana, infatti, tutto un versante della nostra cultura letteraria rompe il diaframma alto/ basso che i custodi del passato erigevano rispetto agli umoristi e si rivendica per questa espressione una libertà totale, finalmente irrispettosa delle regole estrinseche e formalistiche e di ogni vecchia convenzione.

In questo clima, il giovanissimo Achille dopo aver frequentato il liceo classico Mamiani, si iscrive a giurisprudenza ma inizia anche a mettersi in gioco nella sua vocazione. Attorno al ’ 20, dopo una brevissima parentesi come impiegato al ministero della Marina, entra a La Tribuna come correttore di bozze. Di qui passa a L’Idea nazionale, prima come segretario di redazione e successivamente come redattore di cronaca. Qui lo “scopre” Silvio D’Amico, allora responsabile della terza pagina, entusiasta per un titolo irriverente scelto dal giovane redattore per un banale episodio di cronaca nera. Parte così la sua lunga attività giornalistica che lo vede attraversare numerose testate, tra le quali La Tribuna, L’Ambrosiano, Il Resto del Carlino, L’Europeo. Come inviato speciale Campanile lavorerà per La Gazzetta del Popolo di Ermanno Amicucci e per La Stampa di Curzio Malaparte, si trasformerà anche in giornalista sportivo seguendo il Giro d’Italia e il Tour de France. Naturalmente sempre a modo suo. Come umorista, anche se sempre attento a evitare un’identificazione limitativa della propria immagine professionale da giornalista doc, sarà presente negli anni Venti sul Caffè, “settimanale umoristico del Tevere” e sul celebre Travaso delle idee.

Eserciterà comunque un’influenza notevole sul Marc’Aurelio e sul Bertoldo, com’è verificabile dalla ripresa delle trovate campaniliane da parte degli altri grandi umoristi dell’epoca come Vittorio Metz e Carlo Manzoni o del vignettista Attalo.

All’attività giornalistica si affiancò comunque fin dall’inizio una vivacissima attività letteraria e teatrale tanto che nel ’ 24 esce la prima delle sue “tragedie in due battute” ( Le due locomotive sul Corriere italiano) e in successione inarrestabile ne comparvero molte altre sulle riviste La Fiera letteraria, Il Dramma e 900. E fu proprio questa forma particolarissima di teatro a procurargli la prima notorietà. Nella “tragedia in due battute”, modulo drammaturgico brevissimo basato solo su un dialogo fulminante, a una gag istantanea o a una scena comica che si svolge dopo un lavoro preparatorio di didascalie, lo scrittore risente dei procedimenti sintetici e dinamici tipici del teatro futurista, da cui mutua le caratteristiche di simultaneità, a- logicità e irrealtà. Da qui, il suo umorismo surreale e funambolico che troverà, poi netta affermazione e larga applicazione nei gior- nali umoristici degli anni Trenta, come il romano Marc’Aurelio e il milanese Bertoldo. Anche se Campanile privilegiava una sua interlocuzione con Cesare Zavattini con il quale – negli stessi anni – condivise la direzione di Settebello, un settimanale umoristico che insidiava Bertoldo.

I suoi libri, contemporanei a questa sua attività, sono tra gli esempi migliori nella nostra letteratura di umorismo paradossale. Il nonsense, le strategie dell’assurdo e la stravaganza, spesso bizzarra, che resero inimitabili la sua narrativa e il suo teatro ( tra cui Se la luna mi porta fortuna, del 1928, Agosto, moglie mia non ti conosco, del 1930, Il diario di Gino Cornabò, del 1942, Manuale di conversazione, del 1973) passarono in blocco nella sua scrittura cinematografica con ben cinque soggetti e sei sceneggiature tra il ’ 39 e il ‘ 53. A introdurlo nel mondo del cinema era stato ancora il padre, che propose Achille come soggettista di un film di cui era uno degli sceneggiatori, Animali pazzi di Carlo Ludovico Bragaglia, con una straordinaria interpretazione di Totò. Del resto, il surrealismo e il futurismo – assimilati da Campanile non per via di manifesti, ma attraverso la pratica istintiva di un giornalismo veloce, popolare, immediato, votato alla caricatura e alla vignetta lo condussero direttamente al cinema comico.

Quando il fascismo cadde, Achille Campanile ironizzò sul fatto che Mussolini era stato capace di governare contro quaranta milioni di italiani: non se ne trovava più uno che fosse stato fascista. Ma fascista non era stato nemmeno lui. Si considerava – ed è sempre stato – un apolitico allo stato puro, come Ennio Flaiano e pochi altri. Nonostante ciò, nell’immediato dopoguerra cadde un po’ nell’oblio. A farlo riscoprire negli anni Settanta sarà soprattutto Umberto Eco, suo grande estimatore, che gli dedicherà un saggio e scriverà qualche prefazione alle sue opere. «Lui è un grande scrittore comico – sostenne il semiologo – e perciò ci sono state delle resistenze a considerarlo un grande scrittore e basta…». Un paese come l’Italia ha spesso disprezzato i suoi umoristi, negando «vera statura artistica ai letterati comici», spiegava anche Masolino d’Amico. Fra le leggende che circolano su Campanile, una coinvolge anche Luigi Einaudi. Dopo aver a lungo disprezzato i libri dello scrittore, che gli portavano in casa i figli e i loro amici, un giorno il grande economista e anche presidente della Repubblica provò a sfogliarne uno. Ma ne restò folgorato: rideva – disse – al punto di sentirsi tremare le gambe.

Da questo punto di vista, Campanile è stato paragonato ai grandi della comicità, a Chaplin e ai fratelli Marx e, in Italia, a Totò. Non fosse altro per l’uso straniante e provocatorio che tutti e due fanno dei cognomi dell’interlocutore. Umberto Eco ha continuato a lungo a citare l’intervento di Campanile a un convegno sui problemi dell’informazione italiana che si tenne nel ’ 62 a Grosseto. Si parlava dei quotidiani che escono la mattina con le notizie date la sera prima dai telegiornali. Lo scrittore commentò: «È come una lettera che si concluda con la frase: Segue telegramma». Aveva infatti intravisto con lunghissimo anticipo l’attuale degenerazione della stampa mondiale. Non a caso, uno dei suoi ultimi libri, La televisione spiegata al popolo, raccoglie le critiche televisive che Campanile scrisse per L’Europeo dal ’ 58 al ’ 75. E a proposito di piccolo schermo, nel ’ 63, Campanile scrisse la sceneggiatura di un famoso spot di Carosello, il Consiglio di famiglia per uno shampoo dell’Oréal.

Il segreto del lungo successo di Campanile stava tutto nel linguaggio: preciso, conciso, il più piano e semplice possibile, il più normale, quotidiano, possibile, lontano da arcaismi e ricercatezze letterarie. Ma, allo stesso tempo, in grado di riuscire a esprimere una capacità evocativa dello specifico umoristico assolutamente unica. Per dirla ancora con Umberto Eco, riferito proprio al linguaggio di Campanile, «prendere il linguaggio per i fondelli vuol dire prenderlo “per” la lettera, ottenendo effetti di straniamento».

Lo scrittore, visse tra a lungo Roma e Milano fino a trasferire, dai primi anni 60, la sua residenza dalla casa di via del Babuino a Roma a Lariano nei pressi di Velletri, per accontentare la moglie Pinuccia e il figlio Gaetano che desideravano vivere in campagna. E sceglie la particolare zona ai piedi di Velletri famosa per i funghi e il pane, che cinquant’anni fa otterrà l’autonomia trasformandosi nel nuovo paese di Lariano. Qui, tra Velletri e Lariano, Campanile dà una “svolta” anche alla sua immagine. Abbandona l’immancabile monocolo e gli abiti eleganti che lo avevano reso celebre, si fa crescere una barba lunga e fluente e con i capelli, anche quelli allungati, assume quasi l’aspetto di un vecchio patriarca. È questa la seconda fase della sua vicenda umana e intellettuale che inizia conIl povero Piero ( 1959), il romanzo che avvia la sua riscoperta postbellica.

Non a caso Campanile torna nei luoghi di questa sua ultima fase creativa con una serie di iniziative collegate al quarantennale della sua scomparsa. Da sabato, 21 ottobre, sino alla domenica successiva sarà infatti possibile visitare, nella Sala degli Affreschi della Casa delle Culture e della Musica di Velletri, una mostra di manoscritti, bozzetti, disegni, oggetti personali dello scrittore grazie al lavoro del Fondo Achille Campanile e dei biografi e studiosi Silvio Moretti e Angelo Cannatà. Contemporaneamente, nell’adiacente Auditorium verranno proiettati video e immagini originali di Campanile, con filmati d’epoca e fotografie a oggi inedite. Sabato 28 ottobre la presentazione dell’ultimo libro che contiene gli scritti inediti e dispersi del grande umorista, intitolato Grazie, arcavolo! ( Edizioni Aragno), sarà un’occasione per fare il punto anche sulla sua fortuna critica con gli interventi dei curatori, Silvio Moretti e Angelo Cannatà, oltre che di Gaetano Campanile e Rocco Della Corte. Ultimo appuntamento, domenica 29 ottobre, la premiazione del vincitore della Prima edizione del Premio Nazionale Teatrale dedicato a Campanile e la rappresentazione della commedia La moglie ingenua e il marito malato per la regia di Enzo Toto. Un’occasione unica per ricordare al meglio, mentre si chiude il quarantennale, uno scrittore che merita molto più di quanto sia stato sinora fatto per essere inserito a pieno titolo – come merita – nella storia della nostra letteratura novecentesca.