A dicembre dell’anno scorso erano stati indagati per l’evasione dal carcere di Rebibbia di tre arrestati albanesi del 27 ottobre del 2016, ora la procura di Roma ha chiesto il rinvio a giudizio dell’ex direttore del carcere di Rebibbia, Mauro Mariani; di quello che all’epoca era il capo dell’ufficio detenuti del Provveditorato regionale, Claudio Marchiandi; di quello che all’epoca era capo reparto degli agenti di custodia, Massimo Cardilli; e di altri 11 di polizia penitenziaria. Secondo il capo di imputazione formulato dal procuratore aggiunto Michele Prestipino e dal pm Nadia Plastina, i primi tre sono colpevoli di aver commesso il reato definito “colpa del custode”. Si tratta di una inosservanza colposa nelle regole di vigilanza all’interno della casa circondariale. C’è però chi teme che questi rinvii a giudizio possano ripercuotersi sulle varie conquiste acquisite nel tempo per il recupero dei detenuti. Nello specifico c’è il rischio che il rinvio a giudizio chiesto dalla procura di Roma metta in discussione le politiche penitenziarie dirette alla responsabilizzazione e alla risocializzazione delle persone detenute. «Lavoreremo per abrogare reato di colpa del custode», dichiara il presidente di Antigone Patrizio Gonnella. «Non conosciamo i fatti che hanno riguardato nello specifico l’episodio del carcere romano di Rebibbia – denuncia Gonnella ma temiamo che decisioni di questo genere possano determinare una chiusura all’interno dell’amministrazione, provocando, per paura di ripercussione negative, una riduzione delle attività dirette alla socializzazione dei detenuti».

Continua sempre il presidente di Antigone: «Se in ogni caso di evasione come in ogni caso di suicidio la soluzione è quella del capro espiatorio, non si aiutano quei direttori e quello staff penitenziario che si dimostra più aperto e più disponibile a progetti di reintegrazione sociale». Una voce critica all’azione giudiziaria della Procura di Roma, proviene anche dall’esponente del Partito Radicale Rita Bernardini, da ieri nuovamente in sciopero della fame insieme alla presidente del comitato radicale per la giustizia “Pietro Calamandrei” Deborah Cianfanelli per chiedere al ministro della giustizia Orlando di mantenere la promessa riguardante l’approvazione dei decreti attuativi per la riforma dell’ordinamento penitenziario. «Sono convinta che la difesa del dottor Mauro Maagenti riani – spiega Rita Bernardini - non avrà difficoltà a dimostrare la prudenza che, al contrario di quanto sostenuto dalla Procura di Roma, egli ha sempre usato nell’esercitare il difficile compito di dirigere un istituto così complesso come il penitenziario di Rebibbia. Lo dico, credo, con cognizione di causa per le tante visite a Rebibbia che personalmente ho effettuato, spesso assieme a Marco Pannella e ad altri dirigenti del Partito Radicale. Posso dirlo liberamente perché al dottor Mariani non ho mai risparmiato critiche ( anche aspre) tutte le volte che mi sono trovata di fronte a situazioni che ritenevo violassero i diritti dei reclusi, condizioni che - è bene precisarlo - riguardano tutt’ora la maggior parte degli istituti penitenziari italiani». Aggiunge sempre l’esponente radicale: «Spesso il dottor Mariani mi ha segnalato le carenze dei sistemi di sicurezza puntualmente da lui ( e dal comandante) comunicate al ministero della Giustizia: dalla necessità di rifare le grate esterne al malfunzionamento delle telecamere e dei sistemi anti- scavalcamento, per non parlare delle carenze del personale del corpo degli agenti in evidente sotto- organico anche in considerazione dei tanti distacchi presso altre amministrazioni dello Stato. A livello umano – prosegue Bernardini - dispiace che i direttori ( privi di contratto da oltre 20 anni) siano sovente i capri espiatori di condizioni di detenzione fuorilegge sotto fondamentali punti di vista. Prendiamo, per esempio, il sovraffollamento: il direttore non può rifiutarsi di far entrare un detenuto anche quando i posti regolamentari siano esauriti ed è costretto a ' prenderli tutti' persino coloro che sono destinati alle Rems e che in carcere non ci dovrebbero proprio stare. Strano che di queste violazioni le procure di tutt’Italia non si occupino esponendo lo Stato italiano a condanne umilianti - come è accaduto con la sentenza Torreggiani del 2013 - da parte della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo».

Ed è proprio la vicenda delle persone che dovrebbero essere ospiti delle Rems che aveva scatenato, recentemente, la polemica riguardante un’altra azione giudiziaria della Procura di Roma. Parliamo del caso di Valerio Guerrieri, il 22enne che si suicidò a Regina Coeli lo scorso febbraio. Lui non doveva essere recluso in un carcere, ma ospite di una Rems. Oppure nell’attesa che si liberasse un posto, doveva essere in stato di libertà. La magistratura aveva aperto un’inchiesta e ha messo sotto indagine due agenti penitenziari, colpevoli, di non averlo controllato. Anche in quel caso, Antigone, aveva espresso delle preoccupazioni: «L’unica cosa che non vorremmo da tutta questa inchiesta - aveva dichiarato Patrizio Gonnella - è che si vada alla ricerca di capri espiatori e che tutto si risolva in una questione di mancata sorveglianza» .