Il politico francese Pierre Poujade era un populista postmoderno senza saperlo. Le parole d’ordine della sua rivolta “bottegaia”, «né di destra né di sinistra», l’odio viscerale per tecnici, intellettuali e politici, considerati alla stregua di sanguisughe, sembrano uscite dalla propaganda di un modernissimo movimento politico. È figlio di un passato remoto ( i primi anni 50) ma il suo messaggio visceralmente anti- ideologico è riuscito a sopravvivere al successivo crollo delle ideologie.

La sua è stata un’ascesa brutale, una lama nel burro della Quarta Repubblica francese: corpo da muratore, voce di tuono, l’impeto del tribuno, la schiettezza tetragona e contadina di chi dice «pane al pane e vino al vino», Pierre Poujade era un populista postmoderno senza saperlo. Le parole d’ordine della sua rivolta “bottegaia”, «né di destra né di sinistra», l’odio viscerale per tecnici, intellettuali e politici, considerati alla stregua di sanguisughe, sembrano uscite dalla propaganda di un modernissimo movimento politico.

È figlio di un passato remoto ( i primi anni 50) ma il suo messaggio visceralmente anti- ideologico comparso all’improvviso in un’epoca asfissiata dalle grandi narrazioni e modellata dai campi di forza della Guerra Fredda però è riuscito a sopravvivere al successivo crollo delle ideologie. Trovando altri interpreti e contesti più favorevoli proprio nel terzo millennio. Da Donald Trump a Vladimir Putin, fino a Beppe Grillo, ognuno di questi modernissimi leader possiede tinte e tratti intimamente poujadisti: non tanto nella retorica populista comune a tanti arruffapopolo di destra e di sinistra ma nella antropologia politica che ha mdellato i suoi sostenitori, la sua “base” o fondo di commeri- cio elettorale.

Quando nel 1953, il cartolaio 33enne Pierre Poujade fonda l’Unione di difesa dei commercianti e degli artigiani ( Udca) la Francia vive una profonda crisi politica, le istituzioni della Quarta Repubblica, il parlamentarismo assembleare, le coalizioni che si sfaldano, i ministri che saltano come fusibili, i governi che si succedono senza riuscire a realizzare nulla dei loro programmi. In politica estera la disfatta in Indocina e la nascita del movimento indipendentista sono bordate decisive per la grandeur di quella che ormai stava diventando un’ex potenza coloniale. Una ferita che Poujade evocherà costantemente nei suoi comizi incendiari, anche se il cuore del suo progetto è altrove. Non è passato neanche un anno dalla sua fondazione che l’Udca organizza una rivolta fiscale che in poche settimane divampa in tutta la “Francia profonda”, il movimento può contare su 400mila iscritti e un nemico comune: Parigi. I suoi uomini politici, i suoi burocrati, i suoi giornalisti e scrittori, la grande città idrovora e disonesta che mortifica il commerciante e l’artigiano “onesto” succhiando il sangue del suo duro lavoro. Poujade sospinge le sue truppe a scagliarsi contro «i funzionari parassiti» e «i politici corrotti lontani dal francese della strada» e chiama alla «resistenza dei piccoli contro i grandi», «delle campagne contro la città», «delle botteghe contro i supermercati». Sembrano slogan usciti dalla campagna elettorale di Donald Trump.

Quando nel 1954 Pierre Mendes France viene nominato primo ministro viene fuori anche la radice antisemita di Poujade che definisce il premier «un non francese nelle cui vene non scorre neanche una goccia di sangue gallico», alludendo al suo essere ebreo sefardita di origine portoghese. Che Mendes France sia un nemico della Francia per Poujade è un’evidenza che si può cogliere persino dai piccoli gesti. Ad esempio quando in visita diplomatica negli Stati Uniti beve davanti ai fotografi un bicchiere di latte: «La Francia è il primo produttore mondiale di vino e questo apolide osa bere del latte in una riunione internazionale?!» . Alle elezioni del gennaio 1956 il movimento raccoglie il 13% dei voti ( 2.500.000 elettori) e 52 deputati all’Assemblea Nazionale e come è accaduto al suo omologo italiano Guglielmo Giannini, fondatore dell’Uomo Qualunque, vive una breve stagione parlamentare per poi eclissarsi improvvisamente, proprio come era apparso. I tempi non erano ancora maturi, i moloch politici del Novecento dovevano ancora esprimere tutta la loro forza. Ma il contenuto “concettuale” di quella rivolta ha attraversato i decenni, la retorica dell’uomo della strada vittima dei poteri occulti della politique politicienne e dei vampiri dell’economia oggi imperversa nelle piazze del mondo occidentale alimentata dal successo dei nuovi tribuni della plebe capaci di adattare la propaganda poujadista alla comunicazione moderna.

L’urlatore della piazza grillina somiglia davvero al piccolo borghese devoto di Poujade descritto da Roland Barthes nelle sue Mythologies, una figura «che possiede il buon senso alla maniera di un’appendice fisica gloriosa, di un organo particolare di percezione […] il suo ruolo è quello di stabilire uguaglianze semplici tra quello che si vede e quello che è e di assicurare un mondo senza raccordi, senza transizione e senza progressione: il buon senso è come il cane da guardia delle equazioni piccolo- borghesi, definisce un mondo omogeneo, al riparo da disordini e dalle fughe del sogno, un linguaggio che implica il rifiuto dell’alterità, la negazione del diverso».