«Ora si è chiusa l’opzione del Pisapia federatore, ma non escludo che con lui ci rincontreremo a dicembre». Miguel Gotor, senatore di Mdp- Articolo 1, analizza e soprattutto normalizza la rottura di domenica con Campo progressista, con cui «sono diversi i tempi ma non le ragioni di un percorso comune» .

Senatore, ormai la rottura con Pisapia si è consumata. Che cosa non ha funzionato?

Studio la storia e quindi non drammatizzo mai la cronaca. Tra noi sono sorte divergenze più sulla tempistica che non sui contenuti. Pisapia lo capisco: vuole aspettare il risultato delle elezioni siciliane per capire quanto Renzi sarà indebolito e quale sarà la legge elettorale. Al contrario per noi è importante partire con un progetto unitario a sinistra, dal basso e partecipato, che definisca i contenuti di una proposta comune su lavoro, scuola, investimenti e Stato sociale su cui gli italiani ci giudicheranno. Ma non mi sento di chiudere alcuna porta e non escludo che a dicembre ci si possa di nuovo rincontrare anche con i compagni di Campo progressista. Certo hanno pesato anche i condizionamenti del ceto politico intorno a Pisapia: una minoranza di loro vuole una candidatura con il Pd per rispettare delle promesse già maturate nel corso della campagna referendaria; altri, la maggioranza, proviene da un’aspra scissione con Sinistra italiana e non vede di buon occhio una rapida ricomposizione con quel partito.

Pisapia ha parlato di voler fare un campo ampio di sinistra e non «un partitino da 3%». Lei cosa risponde?

A botta calda ho scherzosamente detto che lo attendiamo speranzosi col suo partitone. Oggi, più seriamente, gli direi che lui sa benissimo che stiamo lavorando a un progetto largo e non minoritario perché questa è la storia e la cultura politica da cui la maggioranza di noi proviene, ossia di sinistra di governo. Siamo cioè consapevoli che la forma storica con cui la sinistra italiana ha governato questo Paese è stata con un’alleanza di centrosinistra, che deve restare il nostro orizzonte contro ogni opzione frontista e settaria, incentrata sull’autosufficienza che poi si trasforma in mera testimonianza. Poi certo, manteniamo un profondo rispetto per le formazioni politiche più piccole in cui Pisapia da sempre ha militato dal ’ 68 in poi: siamo, infatti, consapevoli che il centrosinistra si costruisce unendo la sinistra radicale a quella riformista, dalla quale noi proveniamo, con un centro civico e liberale. Articolo uno, che è un movimento e non un partito, nasce per essere alternativo alla destra, competitivo con i 5 stelle e sfidante con il Pd a trazione renziana: il suo scopo è quello di riunire tutte le forze e i cittadini che si riconoscono in questo obiettivo, ossia che non vogliono la destra al governo, ma non sostengono né Grillo né Renzi, sono stanchi di «turarsi il naso» e hanno scelto perciò un’astensione consapevole ed esigente.

Sono stati sei mesi impegnativi di stop and go: sembrava dovesse iniziare la fase costituente, invece si è rotto tutto. E’ stato tempo buttato?

Non credo, è possibile che alcuni appuntamenti siano soltanto rimandati. Non sono fra quelli che teme o pensa che Pisapia finirà a fare il ruotino di scorta di Renzi e Alfano. E se ciò avvenisse, ma ripeto lo escludo, sarebbe ormai così logorato da essere ininfluente e retrospettivamente si chiarirebbe agli elettori il cincischiare politicista di questi mesi.

E ora Articolo uno che farà? Ora si riapre la questione dei nomi?

La leadership non si cala d’alto ma si conquista nella lotta. È sempre il frutto di un riconoscimento da parte di una comunità: ha qualcosa di spontaneo. A Pisapia era stato proposto un ruolo di federatore nell’ambito di una leadership plurale - il noi davanti all’io-, ma era un percorso che bisognava saper costruire giorno dopo giorno, conquistando i cuori e le menti dei militanti e dei cittadini. Direi che in queste ore si è chiusa questa opzione, ma non quella di continuare a lavorare a un progetto comune di discontinuità alle politiche di governo di questi anni anche con Campo progressista.

E’ solo un retroscena giornalistico l’onnipresente zampino di Massimo D’Alema, che toglie la terra sotto i piedi a ogni aspirante leader?

Da circa dieci anni sono abituato a misurare la mediocrità dei miei interlocutori in misura dell’uso politico che fanno di D’Alema, utilizzato come uno spaventapasseri per mettersi, con poco sforzo, a favore del vento mediatico dei principali gruppi editoriali italiani. È un gioco che non mi appassiona.

Oggi già si parla di addii dai gruppi parlamentari di Mdp, per la creazione del gruppo di Campo progressista. C’è già qualche avvisaglia?

Al Senato non avverrà nulla perché siamo stati ben attenti a tenere fuori dal gruppo sin dall’inizio i cripto- renziani, che intervenivano a nome di Pisapia, essendo regolarmente smentiti con note ufficiali di Campo progressista, trascurate dai grandi giornali. Alla Camera mi aspetto che ci possa essere qualche uscita singola, ma mi auguro che il nucleo forte di Campo progressista che ha costituito Articolo uno possa rimanere. Non sono venute meno, al di là della diversità di accenti e di tempi, le ragioni di fondo, quelle strategiche, di un percorso comune.

La questione degli addii diventa rilevante in ottica di legge elettorale, visto che Campo Progressista riaprirà il dialogo con il Pd. Che cosa pensa del Rosatellum?

Condivido il giudizio di Pisapia: è una pessima legge, che conserva i nominati e stabilisce coalizioni farlocche destinate a incentivare il trasformismo e a stabilire le condizioni per un accordo post- elettorale tra Renzi e Berlusconi.

Realisticamente, lei ritiene che sarà questa la legge elettorale con cui si voterà nel 2018?

Le risponderò dopo i voti segreti. Mi preoccupa però la forza del disegno che nasconde nel medio periodo: un Pd a guida renziana, che eredita i voti berlusconiani mescolandoli con i suoi in un nuovo contenitore centrista. Per questo in Italia c’è un largo spazio per una nuova forza di sinistra e per questo stanno facendo di tutto per ammazzarci in culla. Noi dobbiamo soltanto metterci in cammino, cosa che faremo il 19 novembre con una grande assemblea popolare, con l’umiltà di sapere che le sorti e il futuro della sinistra italiana sono qualcosa di ben più importante che il singolo destino di ognuno di noi e dei nostri limiti.