«È come in uno studio legale. La decisione, e la responsabilità, restano in capo a chi guida l’ufficio. Ma la ricerca preliminare sul fascicolo può essere anche delegata a un giovane praticante o, nel nostro caso, a un tirocinante». Luciano Panzani, presidente della Corte d’appello di Roma, ha da poco presentato la sua relazione a colleghi e avvocati. È stato lui a fissare l’indice del dibattito, organizzato presso la sede del Cnf, sull’esame preliminare delle impugnazioni in appello. Ha ben colto cosa preoccupa i difensori, riguardo all’ufficio del processo e alla “prevalutazione” dei ricorsi: il fatto che vi si possa decretare la debolezza delle impugnazioni prima ancora che inizi il dibattimento.

Presidente, intanto partiamo dall’urgenza con cui il Csm ha approvato, a inizio luglio, la delibera da cui è nato il confronto tra magistrati e avvocati: la scintilla è anche nelle novità “imposte” dal processo telematico?

In parte è così. Il processo telematico è da considerarsi però come un mezzo, non un fine. L’urgenza, per noi magistrati, è assi- curare la migliore organizzazione al nostro lavoro, la maggiore rapidità possibile senza incidere sulla qualità della giurisdizione. Aggiungerei una cosa: il confronto tra magistrati e avvocati, anche su questo particolare argomento, non è una novità degli ultimi tre mesi.

L’avvocatura teme che il contraddittorio tra le parti in appello si riduca a mera liturgia, e che le decisioni siano di fatto assunte a freddo.

Guardi, per chiarire come dovrà funzionare il nuovo ufficio del processo, e come tale innovazione non pregiudichi l’effettività del contraddittorio, credo possa essere utile tornare alla mia prima esperienza professionale, da avvocato.

Da avvocato? Racconti.

Ero al primo incarico da parte del titolare dello studio, che mi affida un giudizio in Cassazione. La controparte è difesa da Franzo Grande Stevens. Sulle prime trovo inspiegabile che mi venga subito chiesto di fronteggiare un avvocato di quella levatura. Finché mi spiegano: ‘ Qui non puoi sbagliare. Devi leggere cosa sostiene la controparte, e sulla base delle fasi precedenti del processo potrai trovare la forma più efficace per scrivere l’atto’. Nello specifico fu così. La posizione difesa da Grande Stevens era debole. Ma non era quello il punto. Sarebbe stato molto più difficile scrivere la comparsa in primo grado: un errore commesso in quella fase pregiudica tutte le successive.

Quindi un tirocinante può valutare preliminarmente un ricorso in appello per conto del presidente?

Può farlo a condizione che il lavoro di ricerca affidatogli venga considerato utilissimo sul piano dell’approfondimento preliminare, e che chi presiederà il collegio ne faccia proprio patrimonio ma nello stesso tempo si assuma ogni successiva, ed effettiva, valutazione.

Quindi gli avvocati devono confidare nella capacità del giudice di non lasciarsi influenzare dall’esame preliminare?

Vede, il lavoro di chi guida una Corte d’appello, di un giudice di secondo grado, deve fare i conti con il carico complessivo degli affari pendenti e con la necessità di definirli in tempi certi. Posso assicurare che l’ufficio del processo funziona secondo una dinamica assimilabile a quella del grande studio legale, dunque con una molteplicità di apporti necessari e preziosi che non sostituiscono la responsabilità del vertice. Vorrei fare altri esempi.

Prego.

Già ora mi capita di affidare ricerche sui fascicoli a tirocinanti. Si tratta, ricordo, di giovani laureati che grazie alla loro collaborazione presso un ufficio acquisiscono il diritto a sostenere il concorso in magistratura. Hanno il sacro fuoco, sanno di non poter far leva sull’esperienza, leggono dalla prima all’ultima pagina del fascicolo. E magari trovano un dettaglio che risolve una pendenza vecchia di anni, un elemento fino a quel momento sempre sfuggito, che determina inequivocabilmente la nullità del ricorso o la sua rapida definizione. Questo significa guadagnare una grande quantità di tempo, destinare le energie ai procedimenti la cui complessità non consente di abbreviare il percorso.

Il confronto fra magistrati e avvocati è un antidoto alla giustizia deformata del processo mediatico?

Assolutamente sì. Innanzi tutto da quando magistrati e avvocati hanno intrapreso con reale intensità la via del confronto hanno scoperto che i frutti del dialogo sono innumerevoli, imprevedibili: non ci si ferma più. C’è un altro aspetto, di cui una giornata come questa organizzata nella sede del Cnf è esemplificativa.

Qual è?

Il confronto tra gli stessi vertici degli uffici giudiziari. Si deve all’attuale Consiglio superiore il merito di organizzare frequenti occasioni di incontro fra i capi delle Procure, presidenti di Tribunale e di Corte d’appello. Fino a qualche anno fa poteva capitare di non incontrarsi mai in un’intera carriera. Rispetto alla mediatizzazione del processo, va tenuta presente una cosa: è una deformazione non facile da contrastare perché, potremmo dire, si avvale di armi non convenzionali. Ma è solo con una maggiore efficacia, rapidità e qualità della risposta che la giurisdizione può persuadere i cittadini sul punto decisivo: le vere sentenze non le pronuncia la televisione, ma i giudici.

«SONO CONVINTO CHE IL NUOVO UFFICO DEL PROCESSO POSSA FUNZIONARE COME I GRANDI STUDI LEGALI, IN CUI IL CAPO AFFIDA AI COLLABORATORI LE RICERCHE PRELIMINARI MA POI DECIDE»