Il brigatista Valerio Morucci era del Sisde. «Ho le carte dei servizi che dimostrano la sua collaborazione nel 1990», ha detto il presidente della Commissione Moro, Giuseppe Fioroni. I fatti emergono dalla terza audizione di Adriana Faranda, anche lei ex brigatista pentita ed ex compagna di Morucci, durante la quale Fioroni l’ha incalzata: «Il Sisde, con cui Valerio Morucci collaborava a quel tempo, gli chiese cosa pensasse del ritrovamento in via Montenevoso delle fotocopie del memoriale Moro, nel 1990». Lei non ha nascosto lo stupore: «Valerio collaborava con il Sisde? È una cosa che detta così mi lascia sgomenta. Forse gli avranno chiesto una consulenza». E, alla domanda se i servizi segreti ebbero contatti anche con lei, la brigatista ha risposto in modo ambiguo: «Imposimato mi fece incontrare due funzio- nari del Sisde, ma io rifiutai di proseguire il rapporto. Uno di loro mi disse che aveva fatto perquisire casa mia».

Fioroni, in seguito, torna sul tema: «Morucci, parlando in qualità di collaboratore del Sisde, si disse non sicuro che Gallinari avesse distrutto gli originali delle lettere e dei documenti di Moro, Morucci non vedeva ragione per distruggere quelle carte». «Anche io mi sono sempre chiesta perché si dovessero distruggere gli originali dei documenti di Moro», ha risposto Faranda, sottolineando però di non sapere se ci fossero carte a Genova.

Durante l’audizione, Faranda ha anche parlato dei rapporti con il nucleo storico delle Br: «La divisione delle Br in una prima e in una seconda fase è arbitraria e scorretta. Noi ci muovevamo soprattutto in funzione delle indicazioni dei capi storici detenuti a Torino. Durante il processo di Torino, il nucleo storico si rifiutò di riconoscersi come un gruppo di imputati. Loro sostennero di essere prigionieri politici e invitarono i giudici a nominare loro un avvocato difensore e l’invito a chi stava fuori era quello di portare l’attacco al cuore dello Stato. Quando furono uccisi Coco e l’avvocato Croce, i comunicati di rivendicazione di chi era in carcere è significativo - ricorda l’ex postina del caso Moro - perché si dice che quell’azione non è una rappresaglia e si parla dei due poliziotti di scorta al giudice come di mercenari uccisi giustamente», tutte «indicazioni precise per chi stava fuori - ha concluso Faranda, ricordando come Franceschini stesso abbia rivendicato di aver scritto oltre l’ 80% della risoluzione strategica delle brigate rosse: quindi loro non subivano le decisioni di chi era fuori. Nella risoluzione strategica c’era già tutto, c’era anche Moro dentro». E ancora, «Franceschini ha rivendicato di avere scritto in carcere il 75- 80% della risoluzione strategica. Solo il 20% è stato scritto fuori. Franceschini disse solo che non era d’accordo sull’impostazione che era stata data al sequestro Moro: per lui non era un processo alla Dc, la discussione fondamentale doveva essere sul compromesso storico. Questo l’ho sentito anche da Gallinari: il compromesso storico era la riprova dell’abilità politica di Moro di imbrigliare il conflitto sociale, ad esempio come avvenne con l’inglobamento del Psi nel centrosinistra».

Faranda ha anche confermato di aver ricevuto 36 lettere di Moro. Era però l’esecutivo delle Br, tra cui Moretti, Bonisoli, Azzolini, Micaletto, che decideva che cosa doveva uscire all’esterno e cosa no. E sugli originali del memoriale Moro ha aggiunto: «Mi sono sempre chiesta perchè distruggere gli originali. Mi sembra improbabile che fosse rimasta solo una copia a via Montenevoso».