Fino alla prima metà negli anni 2000 la contea di Wake, North Carolina, era soprannominata «la patria del castigo» per via dell’elevatissimo numero di imputati rinchiusi nel braccio della morte. Poi qualcosa è cambiato, drasticamente.

Nell’ultimo decennio le procure di Wake hanno chiesto per otto volte la pena capitale e per otto volte una giuria popolare ha rifiutato di confermare la sentenza. Una prassi consolidata ( l’ultima esecuzione risale al 2007), che ormai sta scoraggiando anche i giudici più vendicativi: «A un certo punto bisogna fermarsi e riflettere: credo che la nostra comunità ci stia mandando da tempo un messaggio molto chiaro», ha ammesso il procuratore Lorrin Freeman.

Quel che accade in North Carolina mette a fuoco una tendenza che appare ineluttabile in tutto il territorio americano: lo scorso anno con “appena” trenta esecuzioni ( in 27 contee) si è infatti registrato il record negativo di omicidi di Stato da quando, nel 1973, la pena di morte fu reintrodotta negli Usa. Il picco assoluto di esecuzioni è avvenuto tra il 1990 e il 1995 con oltre 300 detenuti uccisi dal boia in oltre 200 contee.

Sono solo 19 su 55 gli Stati che hanno abolito la pena capitale, ma ormai è sempre più raro leggere sui giornali di detenuti stroncati dall’iniezione letale. Anche nel fa- migerato Texas ( 550 condanne in 40 anni) le giurie sono sempre più reticenti nel confermare le sentenze è più della metà dei condannati beneficia ormai della commutazione della pena nel carcere a vita. Da cosa è causato questo progressivo abbandono del castigo di Stato da parte delle corti d’oltreoceano? La significativa riduzione del tasso di omicidi negli ultimi 15 anni ( con l’eccezione dell’area metropolitana di Chicago) spiega solo in parte la tendenza.

L’elemento di svolta in realtà sta nelle risorse destinate alla difesa: gli Stati che dispongono di un proprio Bureau legale per rappresentare gli imputati di omicidio volontario registrano infatti un numero di esecuzioni fino a dieci volte inferiore rispetto agli Stati che nominano gli avvocati d’ufficio. Mezzi finanziari importanti, possibilità di fare ricorso a esperti e periti di qualità ( in particolare nei casi di disturbi mentali o disabilità), professionisti motivati, insomma le garanzie di cui dovrebbe disporre ogni cittadino accusato dallo Stato, si rivelano così elementi decisivi in questa moratoria informale della pena di morte negli Stati Uniti. Specie per gli strati più poveri della popolazione, neri, ispanici e proletari hillibilly.

In media un processo in cui la difesa è affidata a un legale d’ufficio dura tre giorni con le deposizioni dei soli testimoni dell’accusa e dei parenti delle vittime e con la certezza pressoché totale di una sentenza fatale. Di fatto la negazione radicale del diritto alla difesa.

L’emblema di questa rivoluzione è la Virginia, dopo Texas e Oklahoma lo Stato storicamente più giustizialista dell’Unione; da quando nel 2006 è stato istituito un Centro regionale per destinare fondi alla difesa, la giostra della morte ha iniziato a girare molto, ma molto meno veloce. Tra i casi che hanno portato alla svolta c’è quello di Edward Bell, condannato negli anni 90 e poi giustiziato nel 2009: il suo avvocato non aveva provato a contattare nessun testimone, non aveva presentato alcun ricorso dichiarando candidamente ai media di non essersi preparato perché «tanto non sarebbe servito a nulla». Anche se la vita di Bell è terminata comunque con l’iniezione letale la sciatteria con cui è stato rappresentato in tribunale ha suscitato polemiche che hanno messo in causa tutto il sistema della difesa degli imputati per omicidio, spingendo le autorità a correre ai ripari.

E la differenza si è vista subito. John “Jose” Rogers fu il primo imputato a poter usufruire dell’asistenza del Centro regionale: reo confesso di omicidio e condannato a morte nel 2006, il suo caso è stato seguito da cinque avvocatiinvestigatori di alto livello, alcuni specialisti in “mitigazione”, una tecnica per umanizzare il loro cliente di fronte alla giuria. Scavando nel passato di Rogers si è venuto a sapere che per tutta l’infanzia era stato picchiato e torturato dal padre, un alcolizzato sadico più volte denunciato per episodi di violenza domestica nei confronti della moglie e dei due figli.

Nel corso dell’udienza decisiva i legali presentano o 24 testimonianze ( contro le sole cinque dei procuratori) tra cui quella toccante del fratello di Rogers che descrive alla giuria gli abusi subiti per anni da John “Rose”, mentre il direttore del carcere in cui è rinchiuso ne parla come di un detenuto modello, mite e collaborativo. Alla fine a Rogers viene risparmiata la vita e la pena viene convertita in ergastolo. Come scrive il celebre avvocato e giurista Stephen Bright, professore di diritto a Yale e paladino dell’abolizionismo: «La pena di morte non è riservata a coloro che commettono i crimini più peggiori, ma a coloro che hanno la disgrazia di essere assegnati ai peggiori avvocati».

Nel 2015, l’ultimo giudice della Corte Suprema l’ultraconservatore Antonin Scalia scriveva che sarebbbe «antidemocratico» abolire dall’alto la pena capitale, perché è una decisione che spetta solo al popolo americano. Per citare le parole del procuratore di Wake Lorrin Freeman, il popolo americano da anni sta mandandp un messaggio molto chiaro ai suoi governanti e ai suoi giudici.