di Iginio Ariemma

Bruno Trentin diceva che aveva nel sangue il federalismo europeo. Era nato in Guascogna, italiano e francese dunque, la sua casa di Tolosa è stata un centro dell’antifascismo europeo, aveva una cultura cosmopolita. Ma la dimensione europea gli veniva innanzi tutto da suo padre Silvio che nel 1943 ( è morto nel marzo ’ 44) scrisse due bozze di nuova Costituzione, una per la Francia nella quale era vissuto in esilio per 17 anni e fondato il movimento partigiano “libérer e fedérer”, e l’altra per l’Italia antifascista. Le due nazioni - scrive- sono “membri fondatori della Repubblica Europea”. Quella italiana fu dettata a Bruno diciassettenne dal letto di ospedale a Treviso, poco prima di morire.

Bruno ha compiuto tutta la Resistenza, con il nome di Leone, sotto le insegne di Giustizia e Libertà e del Partito d’Azione che, come è noto erano sostenitori degli Stati Uniti d’Europa, sia pure con accenti diversi.

Secondo me il federalismo europeo è stato per Trentin una bussola permanente. Anche quando nel 1950 si è iscritto al PCI che pure era molto critico- soprattutto negli anni Cinquanta- nei confronti dell’integrazione europea, giudicata antisovietica. Indicativo è un articolo che Bruno ha scritto a 19 anni sul periodico di Giustizia e Libertà a proposito del Movimento Federalista Europeo diretto da Altiero Spinelli a cui Bruno aderiva. E’ un articolo critico perché scrive che il MFE non ha avvenire se non coinvolge i partiti di massa e in particolare il Partito comunista.

Questa linea rimarrà presente negli anni successivi allorché è all’ufficio studi della CGIL come collaboratore di Giuseppe Di Vittorio. In Trentin, nell’ambito di una critica severa, c’è sempre anche una apertura verso l’integrazione europea, in tutte le cose che scrive sovente per sollecitazione di Di Vittorio: per esempio sul piano Schuman che avvierà la CECA, la Comunità Economica del Carbone e dell’Acciaio. Anche a proposito della CED, Comunità Europea di Difesa, ritiene che sia stato un errore non sostenere l’iniziativa francese per una difesa militare europea che avrebbe dato maggiore autonomia e forza all’Europa all’interno del Patto Atlantico, bocciatura che portò alle dimissioni del governo presieduto da Mendés France. Verso i trattati di Roma che hanno sancito la Comunità Economica Europea la posizione della CGIL, in buona parte predisposta da Trentin, è stata diversa da quella del PCI: in essa veniva condannato lo spirito antisovietico, ma nello stesso tempo si mettevano in luce i fattori oggettivi che favorivano l’integrazione europea.

Questa “doppia lealtà” di Trentin verso il partito comunista e verso l’Europa federale ebbe termine negli anni Settanta, quando la CGIL ( e prima la FIOM guidata da Trentin) cambiò collocazione internazionale e aderì alla Confederazione Europea Sindacale ( CES). Anche il PCI in quegli anni mutò orientamento tanto che Altiero Spinelli venne eletto nel Parlamento europeo come indipendente nelle liste del PCI.

Si può affermare senza alcuna remora che Bruno Trentin è stato uno dei principali artefici del sindacalismo unitario europeo.

Uno degli interlocutori principali di Trentin in Europa è stato Jacques Delors. Non sono riuscito ad appurare con esattezza quando si sono conosciuti, ma credo agli inizi degli anni Ottanta. Questo rapporto di stima e di vera amicizia è durato sino alla morte di Bruno. I contatti fra i due sono stati molto frequenti, soprattutto negli anni dal 1985 al 1995 in cui Delors è stato presidente della Commissione Esecutiva dell’Unione Europea.

Trentin ha in larga parte condiviso la leadership di Delors prendendone parte sia nei momenti felici ( Atto Unico Europeo, Libro Bianco sulla crescita e sull’occupazione, e gli altri passaggi dell’Unione Europea), ma anche nei passaggi più tormentati come il Trattato di Maastricht. Bruno scrive che Delors in quella occasione contestò i rigidi e artificiosi parametri, e propose di uscire dai vincoli monetari instaurando nuovi criteri di convergenza fra le politiche di sviluppo e la crescita dell’occupazione. “Delors peròannota Bruno nei Diari- è stato lasciato solo, nessuno della sinistra ha fatto propria questa battaglia di fondo”. Anche Bruno è stato solo.

L’amicizia con Delors è continuata anche dopo le dimissioni del leader francese, in particolare sulla strategia di Lisbona per avviare quella che è stata definita l’economia della conoscenza. Nei Diari appena pubblicati che riguardano gli anni in cui è stato segretario generale della CGIL, Bruno ricorda le riunioni e gli incontri con Delors a Parigi, Bruxelles, Roma. Nella prefazione francese de “La città del lavoro”, il libro più maturo di Bruno, Delors definisce Trentin “un homme debout” in piedi, con la schiena dritta. Coglie perfettamente l’originalità profonda della ricerca e del pensiero di Bruno che consiste nel mettere in rilievo la natura e il fondamento del lavoro, cioè la ricerca della libertà e della personalizzazione. Supera così- scrive Delors- ogni visione di cogestione o di autogestione per fare emergere nell’impresa, attraverso la compartecipazione progettuale, “l’intelligenza collettiva dei lavoratori”, dall’operaio a programmatore.

Bruno Trentin viene eletto al Parlamento europeo nel giugno 1999, sono per lui anni molto importanti e appassionati. Svolge una attività intensa a favore dell’Europa federale sia nel Parlamento sia come presidente della Commissione progetto del PDS al quale fa sottoscrivere un manifesto per L’Europa. In questo periodo, nel 2002, riceve dall’Università di Venezia la laurea honoris causa che onora con la splendida lectio doctoralis, “Lavoro e conoscenza”, tenuta nell’aula magna intitolata a suo padre Silvio.

La legislatura a cui partecipa Bruno ( 1999- 2004) è ricca di grandi scadenze: attuazione dell’euro, trattato di Lisbona, allargamento dell’Europa a 26 membri, nuova Costituzione. Fra questi capitoli c’è un nesso organico che Trentin coglie subito. Purtroppo la caduta e il fallimento della Costituente, a causa specialmente del voto referendario negativo francese, fermò questo processo positivo. Tren- tin è stato molto fermo nel lottare contro l’euroscetticismo e contro il populismo antieuropeo anche di sinistra come quello di Rifondazione Comunista. Ciò nonostante i limiti che riscontrava nel progetto costituzionale: l’area troppo estesa di votazioni all’unanimità e il potere eccessivo ed esclusivo del Consiglio Europeo rispetto al Parlamento.

Egli è decisamente favorevole ad una politica estera comune ed anche ad una politica di difesa e di sicurezza autonoma. Nello stesso tempo riteneva che fosse “necessario accelerare la costruzione di un vero governo economico e sociale della UE a partire dalla zona euro. Sperimentando una forma di cooperazione rafforzata della eurozona che riequilibri il ruolo svolto dalla BCE e che consenta insieme una gestione più flessibile del Patto di stabilità e di crescita” ( Manifesto per l’Europa del PDS).

Siamo nel 2003. Delors e Trentin parlano entrambi della necessità per l’Unione europea di una “avanguardia di Stati”. Il termine avanguardia Bruno lo usa soltanto in questa occasione perché temeva l’affermarsi di élites con rischi oligarchici, così come non amava la democrazia diretta per le insidie intrinseche di monocratismo autoritario. E’ sempre stato partigiano di processi rivoluzionari democratici che iniziano dal basso, dalla società civile, non dall’alto.

I temi e le scelte prima citati sono ancora sul tavolo oggi. Oggi infatti, dopo Brexit, si discute nuovamente di una Europa a più velocità e di cooperazione rafforzata per l’eurozona. I dieci anni passati sono stati un “decennio perduto” per usare l’espressione di Emanuel Macron. Non c’è che augurarsi che ci sia una ripresa a favore della rifondazione dell’Europa. Occorre però che la sinistra europea compia senza remora questa scelta strategica. Cosa che finora non ha compiuto secondo Trentin. Non lo ha fatto al momento della costituzione della CEE, non lo ha fatto successivamente, nemmeno dopo la caduta del muro di Berlino e dopo il crollo dell’ Unione Sovietica. “All’Europa politica - scrive Trentin- è sempre stata preferita l’Europa economica e delle corporazioni con al centro il libero scambio. ” Protagonista negli anni Novanta è stato Helmut Kohl non Francois Mitterand che pure ha svolto una azione meritoria per impedire lo strapotere tedesco in seguito all’unificazione delle due Germanie, ma con un ruolo difensivo. I protagonisti Schuman, Adenauer, De Gasperi e lo stesso Kohl non sono esponenti della sinistra. Gli uomini europeisti di maggiore spicco di sinistra, Altiero Spinelli, Pierre Mendès France, Jacques Delors, sono stati dei cavalieri solitari senza il sostegno dei partiti e dei rispettivi Paesi.

La sinistra europea oggi più di ieri, nell’era della globalizzazione, per molti versi irreversibile, deve battersi per gli Stati Uniti d’Europa, che prima di tutto difendano e sviluppino i suoi valori storici di libertà, uguaglianza e solidarietà, e per affermare la cittadinanza europea con pari diritti e pari doveri. La stessa espressione di “Europa sociale” viene ritenuta da Trentin riduttiva, tesa cioè soltanto a rivendicare i pur giusti interessi dei lavoratori, mentre ben più elevata, di vera egemonia politica e culturale, deve essere l’azione del mondo del lavoro a partire dal sindacato. Per questo insiste sull’Unione politica dell’Europa.

I diari 1988- 1994 di cui ho curato la pubblicazione, riguardano un passaggio d’epoca di due grandi svolte storiche: il collasso del comunismo e la crisi del fordismo con l’affermarsi dell’economia digitale. Bruno, di fronte al suo mondo che crolla, in cui per decenni ha creduto, seppure in modo critico, è tormentato, soffre grandemente, attraversa una acuta crisi esistenziale. Ma reagisce, lanciando una vera e propria sfida intellettuale, prima di tutto a se stesso, per ricercare, senza abiura o tradimento, le tracce, il percorso, il progetto di una nuova via di trasformazione della società, non soltanto per il sindacato ma per la sinistra. L’Europa federale e i diritti, il diritto al e del lavoro innanzitutto, sono la radice del progetto di nuova società. “Fur ewig” avrebbe detto Antonio Gramsci.

I Diari testimoniano la grandezza umana e intellettuale di Bruno Trentin, un uomo che, pur pensando in grande, ha fatto dell’“utopia quotidiana”, cioè della trasformazione della vita reale dei lavoratori, la sua ragione di vita. Un uomo con una vita straordinaria che ha attraversato da protagonista larga parte del Novecento, dalla guerra di Spagna alla Resistenza al nazifascismo, alla scelta di vita nella CGIL fino alla crisi e al crollo del comunismo. Lascia un segno profondo che va ricordato nella storia italiana ed europea.

* Testo del discorso pronunciato a Bruxelles il 13 luglio scorso. Iginio Ariemma, che è stato a lungo un dirigente nazionale del Pci e del Pds, coordina l’attività di studio su Bruno Trentin presso la Fondazione Giuseppe Di Vittorio