Il 23 agosto di dieci anni fa, a 81 anni, moriva Bruno Trentin. Nella storia del sindacalismo italiano è uno dei giganti. Puoi mettergli vicino solo nomi come quello di Di Vittorio, o di Lama o di Bruno Buozzi.  E tuttavia Trentin era un’altra cosa.

Perché oltre ad essere stato un sindacalista di battaglia, di piazza, un leone nelle assemblee in fabbrica, Trentin era un uomo di pensiero, uno dei maggiori intellettuali politici del novecento.  Era nato in Francia, nel 1926, perché il papà, Silvio, era scappato lì per non cadere nelle mani dei fascisti. Silvio Trentin era stato uno dei fondatori di Giustizia e Libertà e uno dei pochi docenti universitari che rifiutarono di giurare fedeltà al fascismo.

Bruno fece il partigiano, a 17 anni, poi si iscrisse al partito comunista quando aveva un po’ meno di trent’anni.  Ha lavorato una vita in Cgil, prima con Di Vittorio, poi con la Fiom, della quale è stato il leader e il trascinatore nel ‘ 69, quando l’autunno caldo sconvolse la politica italiana. Negli anni novanta è stato segretario generale della Cgil e l’ha guidata tra mille polemiche e nel maremoto provocato a sinistra dalla fine del comu- nismo. Nel Pci era uno della sinistra, allievo di Ingrao, ma nella sua testa ha sempre dominato una idea fortissima di libertà, che in parte, ma non del tutto, era anche nel pensiero di Ingrao. Trentin però andò molto oltre. Recentemente è uscito un libro che raccoglie i suoi diari privati dal 1988 al 1994.

È un libro affascinante e drammaticamente attuale. I giornali hanno ripreso soprattutto la parte più di gossip, e cioè i giudizi taglienti e talvolta feroci che lui dava su tutti gli esponenti politici con i quali entrava i contatto, compresi gli amici. Logico: stava scrivendo appunti per se stesso, non si aspettava che diventassero pubblici.

La parte più interessante del libro però è quella teorica. Trentin elabora un pensiero molto profondo, basato sull’idea che al centro di tutto – della politica, del sindacato, della lotta di massa – c’è la libertà. La libertà, non la felicità. E quindi immagina che il sindacato debba sostituire la lotta di classe con la lotta per i diritti. Libertà e diritti sono il binomio assoluto. L’eguaglianza è una dipendente di questo binomio. Essenziale ma dipendente. La felicità invece non riguarda la politica.  È il rovesciamento dello stalinismo che aveva dominato il Pci, ma anche del vecchio riformismo socialista.

Dal diario emerge l’anima e la mente di un uomo impegnato davvero non nella lotta per il potere ma nella tensione verso la trasformazione. Legge in continuazione, i classici, i politologi moderni, Marx, Habermas, From, la filosofia, gli illuministi, e testi della rivoluzione francese. Non Tex oTwitter. Un intellettuale vero che vive la politica come la congiunzione tra pensiero e lotta.

Dopo aver letto questo libro mi sono guardato un po’ in giro, per capire quale politico moderno possa assomigliare a Trentin. Ho visto il vuoto.