Morto d’infarto? Un momento: meglio vederci chiaro. C’è l’impressione che a Giovanni Aiello si attribuisca un ruolo oscuro persino nella propria morte, dietro l’attivismo con cui ben due Procure indagano sull’infausto evento: i pm di Catanzaro dispongono l’autopsia, i colleghi di Reggio Calabria fanno scattare il sequestro “preventivo” ( sic!) di casa, barca e cellulare del poliziotto in odore di servizi deviati. Lungamente ascoltata la vedova. All’idea che il 71enne sopranominato Faccia da mostro possa essere stato semplicemente stroncato da un attacco di cuore mentre tirava in secco la barca sulla spiaggia di Montauro, non ci crede nessuno. Almeno tra i magistrati. Che vogliono incastrarlo. E, dopo non essere riusciti ad attribuirgli nessuno dei crimini di cui lo accusavano i pentiti, a cominciare dalla strage di via D’Amelio, provano a scoprire la verità almeno sul colpo di scena finale.

Non gliene perdonano una. Neppure di essersene andato. Anzi: è proprio quella la colpa imperdonabile di Giovanni Aiello. È passato alla storia come Faccia da mostro e alle cronache antimafia come l’uomo nero di tutti i peggiori delitti. Solo che la responsabilità in questi ultimi era senza riscontri: presunto onnipresente in tutte le stragi, da quella tentata all’Addaura a via D’Amelio, non si era mai riusciti ad avere uno straccio di prova che lui c’entrasse davvero. Solo dalla morte per infarto non si può salvare, il povero Aiello: stavolta non ci sono prove o riscontri da cercare. Lo si può condannare a prescindere. E così, a 24 ore dalla scomparsa del poliziotto, la Procura di Reggio Calabria ha fatto scattare il “sequestro preventivo” ( sic!) di due beni di Faccia da mostro, la casa e la barca.

Naturalmente non si dà assolutamente per scontato che l’uomo sia stato stroncato da infarto. Macché: è tutta una messinscena. Sono i servizi, o la mafia, o la ’ ndrangheta, o più probabilmente tutti e tre insieme, ad averlo zitti- to per sempre con il paravento dell’attacco cardiaco. Colpa comunque di Aiello: chissà quanti segreti inconfessabili doveva custodire, per essersi meritato la morte. Che poi, giacché era l’uomo delle trame, di tutte le trame, viene pure difficile immaginare che qualcuno abbia tramato per farlo morire senza usarlo almeno come basista. Un controsenso. Che si intravede per esempio nel titolo dell’articolo di Giuseppe Lo Bianco sul Fatto quotidiano di ieri: “Muore Faccia da mostro, è l’ultimo dei suoi misteri” Lo vedete? La morte come ordito inconfessabile al pari del presunto ruolo nel “Piano Solo”, il fantomatico golpe del generale De Lorenzo.

Cosicché intanto gli hanno sequestrato la casa e anche il telefono cellulare. Un’operazione che merita lo spiegamento di forze da due Procure della Repubblica con i rispettivi corpi di polizia giudiziaria: l’ufficio di Reggio Calabria come detto ha disposto il blocco dei beni; la Procura di Catanzaro invece indaga sul colpo di scena finale, la morte. E gli uomini della squadra mobile pare abbiano condotto accertamenti “fino alla tarda notte di lunedì”. Hanno ascoltato, tra gli altri, anche la moglie del poliziotto deceduto a 71 anni. Intanto la salma di Aiello si trova nel policlinico universitario, in attesa dell’esame medico legale. Un’intensità investigativa che sembra riflettere una fortissima preoccupazione: ora che è morto, come facciamo ad accusarlo ancora?

Non è che Reggio e Catanzaro siano sole, nella ricerca di una qualche nefandezza da attribuire a Faccia da mostro. Ma certo i magistrati dello Stretto sentono giustamente franare tutta l’indagine “’ Ndrangheta stragista” che avevano avviato alcuni mesi fa e che aveva condotto alla perquisizione a carico dello stresso Aiello lo scorso 24 luglio. Una retrospettiva sull’ipotesi che la stagione delle cosiddette “stragi continentali”, cioè gli attentati compiuti tra il ’ 93 e il ’ 94 a Firenze, Milano e Roma, siano da attribuire a cosche calabresi. Su Aiello pendeva l’accusa di aver indotto l’ex capitano dei carabinieri Saverio Spadaro Tracuzzi a rendere false dichiarazioni sul ruolo avuto appunto dalla ’ ndrangheta reggina in quegli atti criminali. L’inopportuno decesso sulla spiaggia di Montauro arreca un danno incalcolabile al lavoro inquirente ed ecco spiegato l’attivismo delle ore immediatamente successive all’infausto evento.

Ma come si diceva, prima di Reggio erano arrivate ipotesi terribili anche da Palermo, Catania e Caltanissetta. Mai una condanna, neppure una. Nonostante i pentiti si concentrassero sempre più spesso, negli ultimi dieci anni, sulla sua figura. In particolare sulla sua cicatrice. Luigi Ilardo parlò di “un uomo dello Stato dal volto deturpato” come responsabile dell’omicidio del piccolo Claudio Domino. Vito Lo Forte chiarì che nel fallito attentato all’Addaura, Giovanni Aiello procurò il telecomando. Ma l’accusa più insistita e ricorrente era quella di aver schiacciato il pulsante a via D’Amelio. Nino Lo Giudice ha giurato di averne avuto conferma direttamente da Faccia di mostro: “Mi disse che a uccidere Paolo Borsellino fu davvero lui” Aiello non solo ha negato tutto, non solo è sempre uscito innocente da tutto e da innocente è morto, ma ha negato persino di aver fatto parte dei servizi segreti. Ma allora com’è che ogni pentito andava a indicare nella sua cicatrice il suggello del patto tra Stato deviato e mafia? Forse, adesso che non è più in condizioni di dichiararsi innocente, si può dire che la colpa era proprio della faccia: che un po’ mostruosa, questo sì, lo era. Aiello era un poliziotto ed era terribilmente brutto. In pratica un’incarnazione: del male che si impadronisce dello Stato. I pentiti, si sa, prediligono le verità virtuali in grado di evocare una verità effettiva. E il volto di Aiello si prestava assai, a questo gioco di prestigio. Come quella volta che una rampolla della famiglia Calatolo, tale Giovanna, lo vide in foto e, ai pm che volevano saperne di più sul telecomando dell’Addaura, esclamò: “È lui, lo sfregiato! ”. La faccia del male assoluto, a portata di mano. E uno con quella faccia crede davvero che ci caschiamo, se muore in spiaggia mentre tira una barca a secco?