“Faccia da mostro” è morto ieri in Calabria. Lo 007 accusato dai pentiti di ogni strage e omicidio consumato nel nostro paese, aveva 71 anni e ha passato gli ultimi anni della sua vita facendo quello che aveva sempre sognato di fare: il pescatore. Giovanni Aiello ( questo era il suo vero nome) fu processato e puntualmente assolto dalle procure di Palermo, Catania e Caltanissetta. Fu accusato anche per le stragi di via D’Amelio e quella di Capaci. Lo tirarono in ballo anche nel processo alla “trattativa Stato- mafia”. Ma tutte le sentenze finirono allo stesso modo: non colpevole.

Ieri mattina è morto Giovanni Aiello, conosciuto come «Faccia da mostro» a causa del suo viso deturpato da una vistosa cicatrice. È stato stroncato da un infarto mentre cercava di portare a riva la propria barca alla spiaggia di Montauro, località della costa ionica catanzarese dove viveva da tempo. Aiello aveva 71 anni ed era un poliziotto in pensione. Ma non era una persona qualunque. Il suo nome era stato tirato in ballo in diverse occasioni: dietro ogni strage e omicidio di mafia – secondo le accuse mosse da diverse procure siciliane - c’era sempre lui. Processato e puntualmente assolto dalle procure di Palermo, Catania e Caltanissetta. Era stato accusato di tutto: di essere stato sulla scogliera dell’Addaura ( ci fu il primo tentativo di attentato contro il giudice Falcone), e poi sull’autostrada di Capaci e poi in via D’Amelio, l’hanno accusa- to persino di aver partecipato all’assassino di un bambino ( Claudio Domino) e del commissario Ninni Cassarà ( «Era lì con un fucile di precisione», lo accusò Giovanna Galatolo, l’ultima pentita di Cosa Nostra, figlia di Vincenzo, mafioso del cerchio magico di Totò Riina, uno dei padrini più influenti di Palermo fra gli anni 80 e 90), e ancora di avere avuto un ruolo nell’uccisione dell’agente Nino Agostino, di avere messo bombe sui treni e di avere dato assalto a caserme. Tutte accuse, alcune delle quali nell’ambito della cosiddetta tratera tativa Stato – mafia, crollate una ad una.

Fu l’uomo preso di mira da diversi pentiti. Tra i tanti, meritano attenzione le accuse di Nino Lo Giudice, detto “Nano”. Un pentito particolare. Lo Giudice si è sempre autodefinito un boss di alto livello della criminalità organizzata calabrese, anche se a Reggio gira voce che i “veri” boss lo considerino solo un “venditore di meloni”. Era balzato alle cronache quando scappò dalla propria abitazione che occupava da quando aveva indossato i panni del collaboratore di giustizia. Prima di scappare – in seguito verrà riacciuffato aveva reso pubblico un memoriale nel quale ritratta anni di presunti pentimenti. Nel memoriale, Lo giudice aveva scritto che sarebbe stata una «cricca ad avermi costretto a dire le cose che ho detto». Una “cricca” formata dai pezzi da 90 che nel recente passato hanno indagato sulla ‘ ndrangheta reggina. Il primo nome sulla lista del Nano quello, famosissimo, di Giuseppe Pignatone, procuratore capo a Reggio e attualmente con lo stesso ruolo a Roma. Fu all’epoca che Lo Giudice aveva stroncato la carriera di Alberto Cisterna, numero due della Dna ai tempi di Pietro Grasso: «Mio fratello mi fece intendere che era stato favorito dal dottore Cisterna in cambio di soldi». Risultato: Cisterna venne trasferito a Tivoli.

Ritornando all’ex polizotto Giovanni Aiello, il Nano ritornò alla ribalta l’anno scorso avanzando delle accuse che poi vennero archiviate. «È stato Aiello – dichiarò Lo Giudice ai magistrati di Reggio Calabria – a far saltare in aria Paolo Borsellino e i 5 agenti di scorta. Fu lui a schiacciare il pulsante in via D’Amelio. Me lo confidò Pietro Scotto quando eravamo in carcere all’Asinara. E anni dopo me lo confermò Aiello in persona… Ma quando ho raccontato tutto sono stato minacciato dai servizi».

Sempre l’anno scorso aveva fatto molto rumore l’incontro di ' faccia da mostro' con Vincenzo Agostino, il padre del poliziotto Nino Agostino ucciso a Palermo da Cosa Nostra il 5 agosto 1989 insieme alla moglie Ida, che durante un riconoscimento all’americana ( insieme a Aiello, dietro al vetro, stavano altri due uomini camuffati) lo indicò: «È lui! – disse Vincenzo Agostino – faccia da mostro è lui!». La stessa procura di Palermo, che nell’ambito della presunta trattativa mafia - stato si occupò del caso, richiese l’archiviazione. Non poteva fare altrimenti visto che il riconoscimento era avvenuto quando, già da tempo, i principali giornali avevano pubblicato la foto di Aiello. Ma non solo. Vincenzo Agostino, in tempi diversi, aveva riconosciuto altre due persone.

Il nome di Giovanni Aiello, però, nei giorni scorsi era ritornato alla ribalta nell’ambito di una inchiesta, coordinata dalla Dda di Reggio Calabria, la quale ipotizza un patto tra mafia e ‘ ndrangheta nell’attacco sferrato allo Stato, tra il 1993 ed il 1994, in quella che fu definita la stagione delle ' stragi continentali' con gli attentati di Firenze, Milano e Roma. Un’inchiesta giudiziaria, tra l’altro, che riprende quella denominata “Sistemi Criminali”, all’epoca condotta dai magistrati della Procura di Palermo nella quale vennero messi sotto indagine undici persone tra esponenti delle diverse associazioni criminali ( Cosa Nostra, ‘ Ndrangheta, Sacra Corona Unita), della massoneria, dell’estremismo di destra e del mondo delle professioni, tutti sotto indagine ai sensi dell’articolo 270 bis, cioè l’associazione sovversiva per fini terroristici. L’inchiesta si risolse con un nulla di fatto, ma è stata riportata in in auge dalla procura di Reggio Calabria. Aiello è stato indagato per induzione a rendere dichiarazioni false all’autorità giudiziaria. Secondo i pm di Reggio Calabria, Aiello avrebbe costretto l’ex capitano dei carabinieri Saverio Spadaro Tracuzzi a mentire agli inquirenti sul suo ruolo nella ‘ ndrangheta reggina.

A tutto ciò il suo nome era comparso anche nel decreto di perquisizione notificato recentemente all’ex numero 2 del Sisde, Bruno Contrada, considerato dai pm calabresi solo una persona informata sui fatti e dunque non indagata. C’è una fonte, ritenuta attendibile dai magistrati, che ha fornito elementi sui contatti tra Giovanni Aiello e Bruno Contrada. Quest’ultimo ha smentito categoricamente di averlo conosciuto.

Ora Aiello è morto da innocente. I suoi ex avvocati difensori hanno supplicato di lasciare in pace la sua famiglia che, dopo anni di sofferenze, «non merita ulteriori atti di sciacallaggio sulla figura del parente prematuramente scomparso».