VERSO IL G7 DELL’AVVOCATURA

Alla presidente della Camera Laura Boldrini va riconosciuto un grande merito: aver fatto di una questione personale un tema pubblico. Ha annunciato di voler passare alle denunce contro le sconcezze che le arrivano sui social, istigazioni allo stupro comprese. È una donna che onora le istituzioni proprio perché sa come e quando utilizzare se stessa come strumento di impegno civile. Ieri, sull’iniziativa della Terza carica dello Stato, è intervenuto il principale quotidiano italiano, il Corriere della Sera, che aveva raccolto l’esasperazione e la sfida di Boldrini. A tornarvi è stato Beppe Severgnini, con un lungo e appassionato intervento in cui tra l’altro definisce “surreali” le dichiarazioni rilasciate, sempre al suo giornale, dal ministro della Giustizia Andrea Orlando. In particolare quelle con cui il guardasigilli, che pure considera “sacrosante” le denunce anticipate dalla presidente della Camera, definisce insufficiente la repressione penale e si dice convinto che “le istituzioni debbano rimanere fuori” dal contrasto al linguaggio d’odio. La prima tesi del ministro si basa sul fatto che se la risposta dovesse consistere nel perseguimento degli odiatori in rete, le Procure sarebbero sovraccaricate in modo insostenibile. La seconda ha a che vedere con il fatto che ogni eventuale risposta anche normativa di particolare durezza, o un qualsiasi controllo statale su internet, sarebbero percepiti come censura.

Ed è proprio questo lo snodo del ragionamento che può schiudere ulteriori analisi.

Orlando si rifà alle affermazioni che da anni ormai propone il Garante della privacy Antonello Soro nelle sue relazioni. E in particolare alla tesi secondo cui le fake news, il linguaggio d’odio, la cosiddetta informazione alternativa sul web ( cose non sempre sovrapponibili ma certo correlate tra loro) si alimentino anche con l’idea che il “potere” nasconde la verità, e che dunque ogni possibile “repressione digitale” non ripristini affatto quel “patto sociale” di cui parla Severgnini, ma costituisca una mera repressione del dissenso da parte del suddetto “potere”.

Ecco qui, è la trappola di cui parla Orlando. E da cui si rischia di non uscire. Se non proprio attraverso quelle “alleanze contro l’odio” evocate dal ministro. Che indicate così possono sembrare sfuggenti. Ma che possono trovare un’espressione concreta nel G7 dell’avvocatura fissato per il prossimo 14 settembre a Roma. In quella inedita occasione, la prima in cui le rappresentanze forensi dei sette Paesi si riuniscono nell’ambito del G7, il Cnf italiano promuoverà con i corrispondenti organismi istituzionali delle altre 6 avvocature una “raccomandazione” contro il linguaggio d’odio. Visto che si tratta un documento sottoscritto non da soggetti governativi ma dai vertici di una pur importantissima espressione sociale qual è la professione forense, la raccomandazione non potrà certo stabilire divieti, obbligare a maggiore solerzia i colossi del web, consentire censure automatiche dei post violenti. No. Potrà però sollecitare un percorso civile di promozione di nuove consapevolezze. La maturazione – certo non automatica come un clic – di una democrazia della rete davvero nuova.

Il più possibile libera dall’odio, dalle sconcezze e dalle sciocchezze.

C’è un aspetto forse sottovalutato, ed è proprio in quel riferimento di Soro ( e, indiretto, di Orlando) al rapporto tra odiatori e “potere”. E cioè nel fatto che il diffondersi dell’odio in rete si amplifichi quanto più si riduca la partecipazione civile vera e propria. Se l’odio via internet è, come ben argomenta il Garante, figlio dell’odio e del distacco tra cittadini e politica, è forse proprio su quello snodo che bisogna intervenire. Fino a ripristinare una rappresentazione collettiva più equilibrata delle classi dirigenti. Continuare ad additarle come una “casta” di impostori da espellere difficilmente consentirà la distensione nell’uso del web.

Peraltro, in questo percorso, un ruolo straordinario spetterebbe anche all’informazione cosiddetta tradizionale, ai grandi quotidiani. Superare, e consentire di superare, il pregiudizio contro i politici; sdrammatizzare la teoria degli impostori in doppiopetto; non negare lo scadimento della classe politica ma neppure arrendersi all’idea che il Parlamento sia un vecchio inservibile arnese. Si tratta di correzioni di rotta, nell’immagine pubblica proposta anche dai mezzi di informazione, che potrebbero essere decisive per fermare la spirale dell’odio. E certo, anche l’appuntamento delle avvocature dei 7 grandi, a settembre, potrà iniziare a promuovere questa distensione. L’avvocatura, certamente quella italiana, rivendica opportunamente un ruolo sociale, pubblico, più consapevole, pronto a diventare impegno politico in senso lato. Una classe dirigente professionale può aiutare anche a rimuovere quell’eccesso di pregiudizio nei confronti della classe dirigente politica che, tra le tante cose, è anche un pozzo avvelenatissimo della democrazia. Meglio chiuderlo, se non si vuole lasciare che l’odio, con il patto sociale, travolga anche il principio di rappresentanza.