Perché uno studente italiano è stato torturato e ucciso in Egitto? E’ il titolo del lungo articolo che il magazine del New York Times di ferragosto dedica a Giulio Regeni. La prima traccia che il giornalista segue conduce dritta dritta ai servizi segreti americani: "Avevamo ottenuto prove incontrovertibili sulla responsabilità egiziana", ha detto un ufficiale dell'amministrazione Obama al giornalista. "Non c'era alcun dubbio". Insomma, pochi giorni dopo la morte di Regeni, l’amministrazione Usa aveva le prove del fatto che la polizia egiziana aveva rapito, torturato e ucciso Regeni. Ma prima di arrivare a questa rivelazione, il Nyt tratteggia la figura di Regeni, il suo impegno in Egitto, la sua voglia di vita. Fino al momento più drammatico: il ritrovamento del corpo: “I suoi capelli erano pieni di sangue. Uno dei denti superiori non c’era più e gli altri erano rotti, come se fossero stati colpiti da un oggetto. Le bruciature di sigarette rigavano la sua pelle e c'erano parecchie ferite profonde sulla schiena. Le ossa dei polsi, delle spalle e dei piedi erano frantumate. Sembrava che Regeni fosse stato torturato. Giorni dopo, un'autopsia italiana avrebbe confermato la portata delle sue lesioni: Regeni era stato picchiato, bruciato, pugnalato”. Ma la parte più dura dell’articolo arriva riguarda il terribile gioco di potere e di segreti che si sono mossi dopo la morte dello studente italiano: “I diplomatici sospettavano che spie italiane e nel tentativo di concludere velocemente il caso, avessero negoziato una intervista ad al Sisi su La Repubblica sei settimane dopo la morte di Regeni". Poi il Times descrive con precisione gli scontri all’interno dello Stato italiano: "C'erano altre priorità. I servizi di intelligence italiani avevano bisogno dell'aiuto dell'Egitto nel contrastare lo Stato islamico, gestire il conflitto in Libia e monitorare il flusso di migranti nel Mediterraneo". L’ambasciatore italiano di nuovo al Cairo Ed è di lunedì la decisione del governo italiano di far tornare l’ambasciatore italiano al Cairo, una notizia che la famiglia di Giulio Regeni ha criticato esprimendo tutta la sua indignazione per le modalità, la tempistica ed il contenuto della decisione del Governo italiano di rimandare l’ambasciatore al Cairo”. “Ad oggi, dopo 18 mesi di lunghi silenzi e anche sanguinari depistaggi – scrivono i familiari del ragazzo assassinato in Egitto- non vi è stata nessuna vera svolta nel processo sul sequestro, le torture e l’uccisione di Giulio”. “Solo quando avremo la verità l’ambasciatore potrà tornare al Cairo senza calpestare la nostra dignità”. Il ministro Alfano rivendica la scelta del governo ma prova a mediare : “L’impegno del Governo italiano – afferma Alfano – rimane quello di fare chiarezza sulla tragica scomparsa di Giulio, inviando a Il Cairo un autorevole interlocutore che avrà il compito di contribuire, tramite i contatti con le autorità egiziane, al rafforzamento della cooperazione giudiziaria e, di conseguenza, alla ricerca della verità. In qualità di rappresentante della Repubblica italiana, l’Ambasciatore Cantini curerà gli interessi nazionali in Egitto e la nostra importante comunità in quel Paese”. La decisione del governo arriva dopo un colloquio telefonico tra il procuratore della Repubblica di Roma, Giuseppe Pignatone e il procuratore generale della Repubblica Araba d’Egitto, Nabil Ahmed Sadek. Nel corso della telefonata, è stato concordato un nuovo incontro tra i due uffici, che sarà organizzato dopo la riunione di settembre “per fare il punto della situazione e confrontarsi su quanto fin qui raccolto e sui possibili ulteriori sviluppi investigativi”. “Entrambe le parti – si legge in una nota congiunta – hanno assicurato che le attività investigative e la collaborazione continueranno fino a quando non sarà raggiunta la verità in ordine a tutte le circostanze che hanno portato al sequestro, alle torture e alla morte di Giulio Regeni”.