Il Dubbio è preoccupato per il diffondersi del linguaggio dell’odio e mi chiede di commentare.

Il primo commento che mi viene è che c’è un bel po’ di ipocrisia in tutto questo scandalo per il linguaggio dell’odio. È davvero una novità nella politica italiana? I comunisti e i fascisti hanno sempre fatto uso del linguaggio dell’odio e gran parte della società italiana è stata alternativamente fascista o comunista. Anche la grande stampa ha giocato questo gioco. A me è capitato più di una volta nel corso della mia carriera politica si essere fatto oggetto di campagne diffamatorie violente e totalmente false, costruite su accuse evidentemente inventate. Pochi hanno alzato la voce non tanto in mia difesa quanto in difesa della verità. Si difende l’amico e l’amico dell’amico, contro l’avversario qualunque mezzo è buono e le regole del fair play in Italia non sono di casa ( e per la verità non godono di molto buona salute nemmeno altrove) Già, la verità… A chi importa della verità? I maestri del pensiero ci hanno insegnato che la verità non esiste e che la cosa che importa è ferire l’avversario, distruggerlo. La politica non vive di verità ma di miti, cioè di idee forza capaci di muovere le masse. La verità? La verità è ciò che serve la rivoluzione ( lo ha detto Lenin). La rivoluzione poi è stata rimandata ma il discredito per l’idea di verità è rimasto come è rimasto l’amore per l’urlo, lo schiaffo, il gesto dimostrativo, la convinzione che la faziosità non sia un vizio di cui vergognarsi ma il segno di un animo nobile che non si adatta alla mediocre realtà. Tutti questi sono tratti caratteristici del fascismo ma che sono continuati in gran parte della cultura della sinistra e della destra italiane.

Certo, il web potenzia tutto questo ma non si faccia finta che il linguaggio dell’odio sia cominciato ieri. Più profonde sono le radici. C’era una volta un Papa che ammoniva che una democrazia senza verità era destinata a dissolversi nella corruzione e nel conflitto senza regole. La opinione comune invece gridava che la verità è nemica della democrazia.

Ma è davvero questo il problema? È solo un problema di cattiva educazione e di cattivi maestri?

Forse no. Proviamo ad andare più a fondo. Una funzione del linguaggio è quella veritativa che consiste nel dire le cose come stanno. Un’altra funzione del linguaggio è quella espressiva. Questa esprime il nostro mondo interiore. Spesso parliamo per dare semplicemente espressione a ciò che abbiamo dentro, a ciò che sentiamo. Noi dovremmo essere capaci in linea di principio di tenere separate queste due funzioni. Per esempio noi possiamo sentire antipatia per una persona e tuttavia sapere che è una persona per bene, competente ed onesta. Può però anche accadere che le due funzioni del linguaggio si mescolino ed io proietti i miei sentimenti sul mondo reale. Io provo antipatia per gli ebrei e dico che sono stati loro ad orcon ganizzare l’attentato alle torri gemelle. O provo antipatia per i democristiani e faccio un film per mostrare che Andreotti è il capo della mafia. Sento qualcosa così profondamente che lo proietto sulla realtà anche se la realtà non offre conferme empiriche della mia tesi.

Una volta le funzioni del linguaggio erano tenute separate dai generi letterari. Se andavo al cabaret sapevo che le cose dette erano esagerazioni umoristiche e che non dovevo prenderle per vere. A partire da un certo punto le differenze dei generi letterari sono saltate: i buffoni hanno cominciato a fare i politici ( e anche i politici hanno cominciato a fare i buffoni). La caricatura ha cominciato ad essere scambiata con la realtà.

Facciamo ancora un passo in avanti nella analisi del nostro problema. È vero, si parla ( nel web e non solo) non per una onesta ricerca della verità ma per dare voce al proprio mondo interiore. C’è un problema ancora più grave del fatto che si sia smarrita l’idea di verità e si confonda il proprio mondo interiore con il mondo reale. Questo problema è ciò che il web ci rivela sul nostro mondo interiore. Grandi masse di italiani hanno un mondo interiore carico di risentimento, di frustrazione e di violenza e fanno fatica a tenere a freno questa interiorità malata. Certo, bisogna rafforzare le barriere inibitorie, colpire con il biasimo sociale chi proietti il proprio odio su obiettivi innocenti. Io non ho mai condiviso la lotta contro la repressione che ha caratterizzato la mia generazione. Essa ha finito l’intaccare l’autodominio e l’autopossesso che sono la base dell’umano essere nel mondo. Tuttavia non credo che questo basti. La soggettività è impazzita perché molti non riescono a trovare un punto di incontro fra i loro desideri soggettivi ed il mondo oggettivo fuori di loro. Sembra che nella realtà non ci sia posto per il loro desiderio ed allora il desiderio può essere detto solo dentro una realtà virtuale ( una volta si sarebbe detto allucinatoria).

In parte ci hanno educato a desideri sbagliati. C’era chi voleva la rivoluzione, ma la rivoluzione non c’è stata. Pasolini aveva la certezza interiore che i democristiani fossero i capi della mafia ma non ha mai trovato riscontri. Falcone e Borsellino stavano ai fatti e non hanno mai avallato la idea che dietro la mafia ci fosse un “terzo livello”, di direzione politica. Altri magistrati hanno fatto una intera generazione di processi alla ricerca di questo livello ma non lo hanno trovato, probabilmente per il semplice motivo che non c’era. Un effetto però lo hanno ottenuto: hanno compromesso il prestigio dello stato e della politica ed hanno autorizzato qualunque paranoico a spacciare la proprie fantasie come verità rivelata.

Una continuazione di quella

saga sono stati poi i processi contro Berlusconi: qualunque sospetto è stato subito ritenuto credibile e passato ai giornali come strumento di lotta politica. La destra ha reagito demolendo con eguale incoscienza e malafede il prestigio della Magistratura. Tutto questo genera frustrazione e rabbia nell’epoca delle aspettative crescenti e delle opportunità declinanti.

In parte è venuta meno o si è indebolita la grande mediazione fra il desiderio e la realtà che è il lavoro. Il lavoro è poco e una intera generazione rimane sul limitare della vita adulta. Lavorare, sposarsi, costruire una famiglia era il modo in cui una volta un uomo ed una donna costruivano un ( piccolo) mondo nuovo in cui desiderio e realtà potevano incontrarsi. Adesso il lavoro non c’è e comunque la famiglia è screditata.

Il segreto della felicità è contenere i propri desideri e lavorare duro per realizzarli. Ades- so c’è una generazione a cui abbiamo insegnato a desiderare senza limiti e non abbiamo insegnato a lavorare per realizzare i desideri. Quello che ho cercato di descrivere nel linguaggio di Hegel si chiama la separazione dello spirito soggettivo dallo spirito oggettivo. I desideri soggettivi non trovano uno spazio di realizzazione nella realtà, imputridiscono e diventano risentimento ed odio senza oggetto, pronto a scaricarsi su di un capro espiatorio quale che sia. Essi possono rapportarsi alla realtà esistente solo in modo negativo, distruttivo. I discepoli di sinistra di Hegel erano convinti che alla fine la distruzione avesse un carattere creativo e che dalla distruzione del mondo vecchio dovesse necessariamente emergere un mondo nuovo. Spengler era più pessimista e pensava che il risultato potesse essere semplicemente la decrescita ( non felice) e la fuoriuscita dalla storia.

Aumenta l’angoscia il fatto di non capire. Non è solo il fatto che il mondo diventa sempre più complicato. È anche l’impressione che i fatti ci diano torto, ci condannino e che non ci siano via d’uscita sul piano della realtà dal labirinto nel quale siamo finiti ( o nel quale ci siamo cacciati). Allora allo sforzo di capire e trovare una soluzione si sostituisce la ricerca del capro espiatorio. Le energie non sono più indirizzate allo ricerca di una via d’uscita reale ma di uno sfogo immaginario. Fioriscono le teorie del complotto e le ricerche del colpevole, con una duplice finalità. Da un lato si vuole sfogare la frustrazione e la rabbia in un qualunque modo. Dall’altro nell’immaginario la congiura contro di noi diventa sempre più ampia, coinvolgente, irresistibile. In fondo se contro di noi sono alleate la Cia, il Kgb, il grande capitale, Bilderberg, la massoneria, i gesuiti, Renzi e anche Berlusconi non è più nostra la colpa dei nostri fallimenti. Il nemico è invincibile. Ribellione e rassegnazione si danno la mano e quasi si identificano.

C’è una via d’uscita? C’è una grande questione educativa. Abbiamo abituato una generazione a pensare che l’autodominio, l’autocontrollo, lo sforzo paziente di imparare, il rispetto delle opinioni degli altri, la abitudine a pensare prima di parlare fossero virtù superate. Pensavamo di stare per entrare in una fase nuova della storia della umanità in cui si potesse godere la prosperità senza fare lo sforzo di guadagnarla. Viviamo invece in un tempo di competizione accresciuta in cui i poveri del mondo si sono messi a lavorare e ci fanno concorrenza. O paghiamo salari bassi come i loro oppure impariamo a fare cose che loro non sanno fare. Per mantenere lo stesso livello di benessere di ieri dobbiamo essere più bravi e darci da fare di più: questa è l’amara verità. C’è bisogno di uno sforzo educativo per tornare ad insegnare le antiche virtù. È abbiamo anche bisogno di una politica che invece di continuare con la ricerca del capro espiatorio indichi una via per restituire prospettive e certezze alla vita della nazione, senza avere paura di chiedere a tutti, cominciando da chi sta meglio, i sacrifici necessari per il bene comune.

È necessario ripristinare un minimo di regole di civiltà nel dibattito pubblico ma è ancora più necessario prosciugare il lago di disperazione e di angoscia che alberga nel cuore di tanti ed alimenta la frustrazione e il risentimento che sfociano poi nei discorsi dell’odio.