LETTERA APERTA

Il caso Contrada è una specie di cartina di tornasole: spiega perfettamente i punti di vista del giustizialismo e del garantismo. Voglio dire: del giustizialismo vero, fondato sull’idea che la punizione dei colpevoli conti più della certezza del diritto e sia il bene supremo. Non del giustizialismo “a ore” che serve solo come clava per colpire i nemici. Un articolo di Gian Carlo Caselli su Il Fatto quotidiano, nel quale si spiega perché la colpevolezza di Contrada è certa, è un piccolo riassunto di questo tipo di giustizialismo. Proviamo a contestarlo, punto per punto, e magari ad avviare una discussione su questi temi, che riguardano il futuro della nostra società. E la struttura della libertà.

Conosco Gian Carlo Caselli da una trentina d’anni. Ero vicedirettore dell’Unità e lui era uno dei nostri editorialisti: ci sentivamo spesso, confrontavamo idee, giudizi, pareri. Il Caselli di oggi non è esattamente quello della fine degli anni Ottanta, perché l’esperienza di Palermo - dove è stato Procuratore negli anni di ferro e di fuoco del dopo- stragi - l’ha cambiato moltissimo, e questo è un fatto naturale, giusto. Tutti cambiamo. Io non nutro nemmeno il dubbio più piccolo sulla sua assoluta buonafede. Perciò mi interessa discutere di lui, delle sue posizioni politiche e intellettuali, e in particolare dell’articolo che ha scritto martedì su Il Fatto Quotidiano a proposito dell’affare Contrada. Io credo che Caselli sia uno degli interpreti più seri e coerenti del giustizialismo. E provo a scrivere questa parola senza attribuirgli nessun valore positivo o negativo.

Credo che esistano due tipi di giustizialismo. Quello “a pendolo” ( feroce coi nemici e molto indulgente con gli amici) che è semplicemente un modo per usare le ideologie come armi taglienti di lotta politica e personale. Non ha niente a che fare con l’idea di giustizia. Il giustizialismo “a pendolo” è frequentissimo, a sinistra e a destra, ed è sicuramente un aspetto negativo e perverso della lotta politica. Come il garantismo “a pendolo”, del resto, che è quasi la stessa cosa.

Poi esiste il giustizialismo puro. Coerente, costante. Che non guarda in faccia a nessuno e che non considera se stesso un “mezzo” di lotta politica ma considera se stesso l’essenza più pura della politica. È quello di Caselli e in parte anche quello di Antonio Ingroia. Consiste nel ritenere la ricerca e la punizione di chi commette atti illegali come il fine supremo della vita pubblica. E nell’anteporre questa esigenza di giustizia e di pulizia a ogni altra esigenza della democrazia, della libertà e dello Stato di diritto. Il principio è semplice. Potrei riassumerlo così: «l’illegalità è la fonte della sopraffazione, la sopraffazione è il male assoluto in una società moderna; quindi la repressione di ogni possibile forma di illegalità è la madre di tutte le battaglie. Qualunque ostacolo venga a rallentare questa azione va rimosso, con ogni mezzo. Non solo gli ostacoli a loro volta illegali, ma anche quelli legali, e cioè l’eccesso di garanzie, di tutele, di norme, o la ricerca spasmodica delle certezze. La certezza è nemica della probabilità, e le probabili illegalità - spesso, molto probabili - vanno comunque stroncate».

L’altro giorno ( detto tra parentesi, ma è una cosa che c’entra molto con questo ragionamento) Antonio Ingroia ha scritto un tweet che dice così: «Io sono garantista con gli innocenti e giustizialista con i colpevoli». Ecco, questa frase riassume bene l’animo del giustizialismo: la filosofia del vero giustizialista è che la giustizia sta molto avanti al diritto, e che il mondo si divide in innocenti e colpevoli, o presunti innocenti e presunti colpevoli, e i presunti colpevoli non devono essere garantiti.

Potrei scatenarmi - lasciando spazio al sentimento - in una furibonda polemica, a questo punto, ma invece voglio tornare al caso- Contrada.

Dice Caselli nel suo articolo. Primo: «La responsabilità del dottor Contrada per i gravissimi fatti che egli ha commesso è supportata da solide prove riscontrate da molti giudici ( Tribunale, due volte la Corte d’Appello e Cassazione)».

Secondo: «È una bufala che non esista il concorso esterno in associazione mafiosa. Esiste da sempre nel nostro ordinamento per tutti i reati, in base all’articolo 110 del codice penale. Nel furto è colpevole il ladro ma anche il palo».

Terzo: «L’unico strumento per contrastare le collusioni ( con la mafia, ndr) è il concorso esterno in associazione mafiosa».

Mi sembrano questi tre i punti chiave, poi c’è un quarto punto, assai più debole, che lascio per un post- scriptum.

Punto primo. Non è vero che il dottor Contrada è stato condannato in primo grado, due volte in appello e poi in Cassazione. La Corte d’appello di Palermo lo ha assolto, con una formula amplissima: «perché il fatto non sussiste». La Procura di Palermo ( Ingroia) non ha accettato la sentenza dell’appello, ha fatto ricorso e ha vinto. Una seconda Corte d’appello, quella di Caltanissetta, ha dato il via libera alla revisione del processo, perché ha giudicato che la sentenza di condanna non fosse convincente. Ma la Cassazione non ha concesso la revisione.

Se escludiamo le varie sentenze, alternate, della Cassazione, abbiamo due tribunali ( uno di primo e uno di secondo grado) che hanno dato torto a Contrada e altri due ( Corti di appello) che gli hanno dato pienamente ragione. Caselli sa molto meglio di me che esiste un articolo preciso del codice di procedura penale ( il 533) che prevede che un imputato possa essere condannato solo se la sua colpevolezza appare oltre ogni ragionevole dubbio. Due Corti d’appello che assolvono non costituiscono un dubbio più che ragionevole?

Del resto Caselli sa benissimo che al processo contro Contrada si sono contrapposte schiere di testimoni. Alcune decine contro ( quasi tutti esponenti più o meno pentiti della mafia, un po’ come fu al processo Tortora) un centinaio a favore ( funzionari di polizia, dei servizi segreti, prefetti, magistrati). Il principale testimone di accusa, della cui testimonianza è stato riferito da altri pentiti, si chiamava Rosario Riccobono, boss della mafia morto presumibilmente nel 1982, circa 12 anni prima dell’inizio dei processi a Contrada. Inoltre Caselli sa benissimo anche che Contrada, in quegli anni, lavorava in una cittadella della giustizia dove i veleni, gli odii e i tentativi di vendetta erano dentro l’aria che si respirava. Contrada aveva dato fastidio a molte persone, anche importanti, potenti. Aveva molti nemici, anche tra i suoi colleghi ma soprattutto tra i mafiosi, pentiti e non.

Punto Secondo. L’articolo 110 del codice penale al quale fa riferimento Caselli prevede il concorso di reato ( non il concorso esterno in associazione a delinquere, che non esiste nei codici). Per esempio – come dice giustamente Caselli fare il palo durante un furto è concorso in furto. Chiaro: non ho rubato ma ho partecipato. Contrada però è accusato di “concorso esterno in associazione mafiosa”. Qui il problema non è giuridico: è logico. O io faccio parte di una associazione o non ne faccio parte. L’associazione già di per sé prevede che concorra nei reati che questa commette. Ma se non ne faccio parte, se sono esterno a questa associazione, allora non partecipo neanche ai reati. Che vuol dire, in questo caso, concorso? Potremmo, per estensione, prevedere anche il concorso esterno in concorso esterno. E poi il concorso esterno, in concorso esterno in concorso esterno? Sì, scherzo, ma non è difficile capire che è un non senso. I reati associativi sono reati molto particolari. Sono reati che vengono prima del reato. Se una associazione uccide, o ruba, c’è il reato di associazione e poi di omicidio o furto. Se non uccide, e non ruba, non esiste più il reato specifico ma resta il reato generico di associazione. In moltissime legislazioni dell’Occidente i reati associativi non esistono. Per essere condannati deve esistere il reato specifico, e l’associazione, tutt’al più, può essere una aggravante. In Italia i reati associativi furono inventati nella seconda metà dell’ 800, ai tempi delle leggi- Pica contro il brigantaggio, e in gran parte furono usati in modo delittuoso, dai Savoia, per sterminare interi villaggi del Sud.

Rinviamo la discussione sui reati associativi a un’altra occasione, ma è chiaro che è molto discutibile il concorso in reato associativo, perché il reato associativo ha già dentro di sé il concetto di concorso. E per questo la Corte europea si è occupata del caso. E per questo ha stabilito che, quantomeno prima del 1994 - quando ci fu una sentenza della Cassazione che lo citò esplicitamente - il reato non era definito e quindi non poteva esistere. Non è che il reato c’era ma Contrada non lo poteva sapere. È che in nessun modo poteva essere considerato reato il rapporto coi confidenti che Contrada ebbe negli anni nei quali era uno dei capi degli 007 italiani.

Del resto, se si pensava che Contrada in qualche modo avesse favorito la mafia, c’era la possibilità di processarlo per favoreggiamento. Come è successo altre volte, anche ad esponenti politici ( per esempio Totò Cuffaro). Però il reato di favoreggiamento ( art 378 del codice penale) non può essere generico, si deve riferire a un fatto preciso, deve contenere una azione che un imputato ha commesso a favore di una persona colpevole di reati gravi, occorrono indizi forti, prove, atti, fatti. Nel caso Contrada non c’erano, come in molti altri casi. E in genere è in queste situazioni di difficoltà che alcuni magistrati si rifugiano nel generico reato ( ipotetico e non definito in nessun codice) di associazione esterna. E aggirano il reato di favoreggiamento perché non riescono a provarlo.

Punto terzo. Caselli si appella alla “necessità” del reato di associazione esterna. Dice: la punibilità di quel reato è l’unica possibilità che ho per colpire le collusioni. Dunque: è inevitabile. Ma non può essere il possibile risultato a determinare la bontà di una legge. Deve essere il diritto. Sarebbe come dire: «La fucilazione dei possibili appartenenti all’Isis ( o simpatizzanti) è l’unico modo che ho per oppormi al terrorismo». Non va bene, sono convinto che Gian Carlo Caselli questo lo sa.

E allora? Penso che sarebbe il caso di aprire un confronto vero sulla contrapposizione tra giustizialismo e garantismo nel dibattito pubblico attuale. Perché dalla contrapposizione, o dal dialogo, tra queste due posizioni così lontane tra loro, e tra queste due concezioni diverse di modernità e di diritto, nascono delle questioni davvero di fondo che riguardano il futuro della nostra società. Riguardano la struttura della libertà. Mi piacerebbe se si riuscisse a discuterne, non solo con l’arma della polemica, ma con la trasparenza e la semplicità che una questione così gigantesca merita.

Ps: C’è un’ultima questione che pone Caselli. Quella del “giudice straniero”. Si riferisce al fatto che l’assoluzione per Contrada, prima che dalla Cassazione è stata pronunciata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, e cioè da un tribunale non italiano. E questo, secondo lui, mette in discussione il principio costituzionale dell’indipendenza della magistratura.

Questa obiezione, francamente, mi stupisce. Da Caselli mi posso aspettare tante opinioni dalle quali dissento profondamente, ma non mi aspettavo accenti “sovranisti”, come si dice adesso, ma che io, più semplicemente, considero “nazionalisti” e cioè in linea con il vecchio e tragico nazionalismo ottocentesco e novecentesco. Dire che l’Europa è incostituzionale perché mette in discussione l’indipendenza della magistratura è un’enormità. L’Europa allora mette in discussione anche un principio costituzionale ancora più importante, quello sancito dall’articolo numero 1: «La sovranità appartiene al popolo...». Può pensarlo Giorgia Meloni, o forse Salvini o forse Di Battista. Caselli no. Spero che questa obiezione gli sia sfuggita dalla penna...