La strategia stragista portata avanti dalla criminalità organizzata agli inizi degli anni ‘ 90 «si arresta o si depotenzia non appena i corleonesi, la ‘ ndrangheta ed altre organizzazioni criminali come la camorra e la Sacra Corona Unita trovano nel nuovo partito di Forza Italia la struttura più conveniente con cui relazionarsi». Così Giuseppe Lombardo, procuratore aggiunto di Reggio Calabria, sintetizza l’operazione «’ ndrangheta stragista» che ha portato all’arresto di Giuseppe Graviano capo mandamento del rione Brancaccio di Palermo ( fedelissimo di Totò Riina e già in carcere) e Rocco Santo Filippone, considerato vicino alla clan Piromalli di Gioia Tauro: un esponente di Cosa Nostra e uno della ‘ ndrangheta, accusati di essere i mandanti del duplice omicidio dei carabinieri Antonio Fava e Giuseppe Garofalo, uccisi il 18 gennaio 1994 a Scilla ( Rc). Perché, secondo Lombardo, che ha condotto le indagini insieme al sostituto procuratore della Dna Francesco Curcio, non fu solo la mafia siciliana a destabilizzare il Paese con le bombe nei primi anni ‘ 90: tutte le organizzazioni criminali presero parte al progetto stragista. Gli inquirenti hanno ascoltato decine di testimoni nel corso di quattro anni, determinante sarebbe stato il contributo fornito da Gaspare Spatuzza. Lombardo è il pm che da tempo conduce le inchieste più delicate e ambiziose in Riva allo Stretto, riuscendo spesso a ottenere una ribalta nazionale: da una sua indagine partì il terremoto che spazzò via la Lega di Bossi e fu sempre lui a chiedere l’arresto dell’ex ministro dell’Interno Claudio Scajola per aver favorito la latitanza dell’ex parlamentare di Forza Italia, Amedeo Matacena.

Tutte operazioni apparentemente distinte ma legate da un filo conduttore. Non è un caso, ad esempio, che nel mirino di Lombardo sia finito più volte il Carroccio. Alcune delle sue inchieste, compresa «’ ndrangheta stragista» di questi giorni, prendono spunto da una vecchia indagine finita nel nulla della Procura di Palermo: “sistemi criminali”. A condurla, negli anni Novanta, fu Antonio Ingroia. La tesi di fondo è del tutto simile a quella sostenuta da Lombardo oggi: durante il crepuscolo della Prima Repubblica, Cosa nostra, orfana di interlocutori si agita parecchio e mette a punto, insieme alle altre organizzazioni criminali, una strategia eversiva che viene interrotta solo con la “discesa in campo” di Silvio Berlusconi. Ma prima di approdare a Forza Italia, i clan, secondo la ricostruzione dei pm palermitani, prendono in considerazione l’ipotesi di un progetto politico alternativo col sostegno della Lega Nord.

Sembra un paradosso, ma nei primi anni Novanta le Leghe ( anche meridionaliste) spuntano come funghi ovunque. Il Carroccio all’epoca è una forza ancora marginale, quasi folkloristica, ma è già capace di cavalcare la domanda di cambiamento che viene dalla pancia del Paese. E in quegli anni le sigle autonomiste si moltiplicano al Sud: Sicilia libera, Calabria libera, Lega lucana, Abruzzo libero, Campania libera. La Procura di Palermo, che ispirerà il lavoro di di Giuseppe Lombardo, è convinta che Cosa nostra abbia sposato inizialmente il progetto di dividere il Paese in due stati, con un Sud controllato dalle mafie. Ingroia raccoglie indizi, ascolta testimoni, trae conseguenze ma non riesce a trovare riscontri e l’inchiesta si conclude con un’archiviazione.

Ma il materiale accumulato contiene informazioni che oggi vengono riprese. Anche allora, il lavoro degli investigatori si concentrava sulle relazioni tra Cosa nostra e ‘ ndrangheta e sul ruolo avuto dalle organizzazioni segrete negli anni del cambiamento di potere. Oggetto dell’indagine di Ingroia: Licio Gelli, gran maestro della loggia P2. Secondo gli inquirenti, a spingere per la creazione di formazioni autonomiste nel Mezzogiorno è la massoneria, col sostegno della criminalità organizzata e di apparati deviati dei servizi di sicurezza. Tra i pentiti, è Leonardo Messina, mafioso di Caltanissetta, il collaboratore più prolifico: «Il progetto consisteva nella futura creazione di un nuovo soggetto politico, la Lega Sud o Lega Meridionale, che doveva essere una sorta di “risposta naturale” del Sud alla Lega Nord», ma che in realtà era «al servizio di Cosa Nostra». Poi la strategia cambia, è il pentito Tullio Cannella a spiegare il perché ai pm palermitani: «La posizione all’interno di Cosa Nostra era articolata. Alcuni come Bagarella erano tutti proiettati, in un primo momento, sul progetto separatista. Altri, come i Graviano e Provenzano, pur coltivando lo stesso progetto, ritenevano tutta via che si trattasse di un progetto che richiedeva tempi lunghi di attuazione», racconta Cannella agli inquirenti. «Per questo motivo, i Graviano e Provenzano, pur continuando a coltivare il progetto separatista, si impegnarono e profusero le loro energie per favorire ed appoggiare l’affermarsi di un nuovo partito politico e cioè Forza Italia». La stessa convinzione che oggi spinge il pm Giuseppe Lombardo a riaprire un’inchiesta finita nel nulla a Palermo.

LA TESI DI FONDO DEGLI INQUIRENTI: COSA NOSTRA E ‘ NDRANGHETA POSERO FINE ALLA STRATEGIA DELLA TENSIONE SOLO GRAZIE ALLA DISCESA IN CAMPO DI SILVIO BERLUSCONI