«Speriamo che la Corte faccia giustizia». Certo, c’è sempre da augurarselo, di qualunque Corte si tratti almeno in Italia, visto che da noi pena di morte e Corti marziali non sono previste. Il punto è che l’auspicio, con cui Bruno Tinti chiude il suo intervento sul Fatto quotidiano di ieri, allude allo sciopero degli avvocati. E in particolare, a un forte, deciso intervento della Corte costituzionale che ne limiti il diritto. Non è certo la prima volta che un commentatore si scaglia contro il diritto di una qualche categoria ad astenersi dal lavoro. Certo però che il duro attacco mosso dall’ex magistrato torinese reca uno spiacevole retrogusto anti-garantista. Perché Tinti ben si guarda dal ricordarlo con precisione, ma le quattro astensioni dalle udienze proclamate dall’Unione Camere penali nel periodo compreso tra marzo e maggio scorsi miravano a contestare alcuni aspetti della riforma del processo ritenuti lesivi del diritto di difesa. In particolare: allungamento della prescrizione e estensione del processo a distanza a tutti i detenuti.

Si può anche non essere d’accordo sul merito della protesta. Ma il solo sospetto che il giudizio negativo sul diritto di scioperare sia legato all’oggetto del contendere, le garanzie, rende problematico l’attacco apparso sul Fatto. L’ombra che si intravede è quella della critica al garantismo, di un certo diffidare di chi fa “politica” per i diritti degli imputati, della stessa difendibilità di quei diritti. «Certamente un giurista deve sempre guardarsi dai rischi del sostanzialismo giudiziale», commenta il professor Sandro Staiano, professore di Diritto costituzionale della Federico II di Napoli e profondo conoscitore, tra le tante cose, della materia in questione, il diritto di sciopero appunto.

Il sostanzialismo di cui lei parla è in pratica una forma di moralismo?

È il punto di vista di chi ritiene si debba rendere una giustizia sostanziale a prescindere dalle norme e dai procedimenti.

Scusi, “a prescindere” in che senso?

Nel senso che le ho enunciato: ritengo che una decisione sia moralmente giusta e penso di poter prescindere dal vincolo giuridico normativo, tanto da tendere a una decisione conforme a quella che ritengo sia la coscienza sociale.

E lei nella posizione del dottor Tinti intravede un simile slittamento?

Mi permetto solo di far notare come i giudici ben sappiano di doversi sempre guardare dal rischio di interpretare la loro posizione come quella di chi deve rendere giustizia sostanziale al di là delle norme. E che nel caso specifico mi pare assolutamente infondato sostenere che le quattro astensioni dalle udienze proclamate dall’avvocatura penale si collochino al di fuori della legge. Al massimo si può appunto mettere in discussione la legittimità costituzionale della legge che li consente. Dopodiché un magistrato è tenuto ad applicare la norma vigente.

Ci spiega nel dettaglio?

La norma che integra la disciplina degli scioperi con riferimento agli avvocati è la legge 83 del 2000, che richiama a sua volta il Codice di autoregolamentazione. Quest’ultima è una fonte secondaria di diritto, ma in virtù del rinvio contenuto nella legge 83, vincola comunque i giudici. Ebbene, tale Codice stabilisce al comma 4 dell’articolo 2 la scansione temporale delle astensioni: non si possono superare gli 8 giorni consecutivi domeniche escluse, va comunque proclamato un unico periodo, in un mese la durata massima deve essere sempre di 8 giorni e tra un’astensione e l’altra devono trascorrere almeno 15 giorni. Entro questo quadro gli avvocati possono fare ciò che vogliono.

Quindi le astensioni proclamate dall’Ucpi sono effettivamente in linea con la legge?

Gliel’ho appena detto. Certamente non possono incorrere in alcuna responsabilità penale. Altra cosa è la legittimità costituzionale.

E su questo intravede dubbi?

Su questo si pronuncerà la Consulta perché l’eccezione di costituzionalità della disciplina vigente è stata sollevata proprio in seguito alle ultime astensioni proclamate dagli avvocati, e per giunta da due diversi giudici, il Tribunale di Reggio Emilia e la Corte d’appello di Venezia. Tenga conto che sull’intera disciplina ha un peso una sentenza emessa dalla Cassazione nel 2014.

Da quale punto di vista?

La Cassazione qualifica il diritto dell’avvocato di astenersi dalle udienze come diritto soggettivo, in particolare come legittimo impedimento da cui scaturisce il diritto a ottenere un rinvio. Si fa riferimento all’articolo 18, al diritto di associarsi liberamente anche in campo sindacale, naturalmente in un’esigenza di bilanciamento con l’articolo 24 sul diritto di difesa e la ragionevole durata del processo richiesta dall’articolo 111 della Costituzione.

E allora come pronosticare una valutazione sfavorevole agli avvocati da parte della Consulta?

Un momento. Nel caso di Reggio Emilia viene messa in dubbio la legittimità della norma secondo cui il giudizio può proseguire qualora l’imputato sia un detenuto e lo consenta espressamente. Tale previsione, secondo il Tribunale, ‘ mette in fibrillazione il rapporto fiduciario tra difensore e assistito’, facendo pagare a quest’ultimo la ‘ eventuale compromissione’ del rapporto stesso. Adesso, al di là del fatto che nel processo in questione la maggior parte degli imputati è accusata di reati di mafia e che, nei confronti di questi ultimi, si dovrebbe presumere una sostanziale capacità intimidatoria degli avvocati, al di là di questo dicevo sarà la Consulta a valutare il bilanciamento tra diritto al rinvio dell’avvocato e diritto di difesa. A Venezia invece la questione sollevata è più sovrapponibile alle obiezioni proposte dall’articolo sul Fatto quotidiano.

Perché si adombra che dietro più scioperi si nasconda, come scrive Tinti, un unico sciopero più lungo del consentito?

Secondo l’eccezione sollevata a Venezia le ripetute astensioni, seppur conformi al Codice di autoregolamentazione, comportano una irragionevole durata del processo. La Corte d’appello propone anche un calcolo, secondo cui sarebbero andati in fumo 88 giorni lavorativi, e quindi avanza un dubbio di costituzionalità proprio dell’articolo 2 comma 4 citato sopra. A questo punto bisognerà aspettare la Corte costituzionale, a cui spetta, nel nostro ordinamento, il giudizio sulle leggi…

D’accordo professore, deciderà la Consulta anche qui: ma adesso, al di là del merito delle ragioni della protesta, come si fa a dire che le Camere penali hanno scioperato a singhiozzo strumentalmente, per aggirare la normativa?

E in effetti dire che l’astensione dalle udienze sia stata frammentata a bella posta è un’illazione. Dai fatti si deve affermare che il procedimento di approvazione è stato temporalmente scandito secondo quanto previsto dalla fonte normativa, cioè dal Codice di autoregolamentazione.

Non è che il sospetto di strumentalità sia legato proprio a un retropensiero negativo e censorio sul fatto di scioperare contro norme ritenute giustizialiste? Insomma: siamo sempre al garantismo considerato privo di diritto di cittadinanza?

Siamo di fronte a questioni particolarmente delicate. Io credo che ci sia un eccesso di funzioni di supplenza richiesto alla Corte costituzionale, questo è sicuro. L’eccesso a mio giudizio è legato a una qualità della legislazione non sempre adeguata, anche nel campo del diritto penale. È per questo che gli interessi in campo finiscono per trovare una composizione fattuale in sede giurisdizionale. Ma, evidentemente, si tratta di una composizione impropria perché dovrebbe essere il legislatore a provvedervi.