Sulla sentenza del Tar, Sylvain Bellenger, dal 2016 direttore del Museo Nazionale e Real Bosco di Capodimonte non ama rispondere: «Ho ricevuto tante telefonate su questa questione... ». Ma poi non si trattiene: «Che devo dire, che l’Inghilterra ha meno di 500 leggi, la Francia 400 e l’italia ha più 1000 leggi e tanti emendamenti? Che forse il bando andava fatto meglio? Ma sono tutte cose che voi giornalisti sapete già». Ci ha pensato la “manovrina” approvata ieri dal Parlamento a chiudere la questione: nessuna barriera per direttori stranieri.

Il ministro Franceschini, visitando la mostra di Picasso e “Parade e al Cristo in Croce” di Van Dyck, ha dichiarato: «Capodimonte è la dimostrazione che i cambiamenti in Italia si possono fare, basta un po’ di buona volontà». Condivide?

La buona volontà è fondamentale ma deve essere accompagnata da una intenzionalità vera e da un impegno di 16 ore al giorno.

Sette direttori di musei su 20 sono stranieri. È giusto dire che i musei italiani siano stati salvati dai direttori stranieri?

La National Gallery di Londra è diretta da Gabriele Finaldi, uno spagnolo nato a Napoli; la Symphony Orchestra di Chicago è guidata da Riccardo Muti, un direttore nato a Napoli; tutti i musei di San Francisco sono gestiti da un direttore tedesco che viene da Francoforte e non ho mai sentito dire che avevano salvato le loro rispettive istituzioni. Semplicemente siamo in un mondo internazionale e la cultura è internazionale. Io non mi sento straniero ma europeo a Napoli, Londra, Parigi o Berlino.

Quali sono i principi ispiratori della sua strategia?

Il mio lavoro si basa sulla conoscenza professionale: un museo deve mettere il pubblico al centro e offrire un programma culturale accessibile a tutti. Inoltre, il grande merito della riforma Franceschini è quello di aver riunito sotto una sola direzione il Museo e il Bosco, e questo crea un gigantesco campus culturale unico in Europa, con 17 edifici storici da recuperare ognuno dei quali avrà una sua specifica destinazione culturale.

Pompei, Paestum, Reggia di Caserta Musei, Mantova, Uffizi, stanno registrando punte di visitatori altissime. Per non parlare di Capodimonte, dove si registra un consistente incremento: circa 10mila nella prima domenica gratuita del mese. Risultati lusinghieri. Si può migliorare ancora?

Capodimonte è di nuovo visibile nel panorama dei musei e anche più presente nella coscienza dei napoletani stessi. Per migliorare ci vuole l’energia del museo ma anche dei napoletani perché nessuno può cambiare orchestra, museo o scuola, senza il supporto e la complicità del pubblico.

Quali i limiti o i vincoli delle precedenti gestioni: più autoreferenzialità o c’è anche il fatto che gli italiani si sentono sempre più esterofili? Quanto conta la burocrazia in un museo ed uno staff di risorse umane molto più giovane e con competenze tecnologiche?

Non voglio cadere in questa trappola. Ognuno porta il suo contributo e la sua firma: e porta il suo tempo. Io mi sforzo di far entrare il museo di Capodimonte nel XXI secolo. Oggi il mondo si sente più esterofilo o nazionalista, io faccio parte di quelli che trovano fascino e ricchezza nell’estero, perché porta una visione diversa. Anche parlando una lingua diversa si cambia la propria sensibilità, io stesso non sono esattamente la stessa persona quando parlo francese, italiano o inglese, e ho lavorato in Francia, negli Stati Uniti e ora in Italia ricevendo tanto ma, allo stesso tempo, dando anche il massimo della mia personalità e della mia cultura. La burocrazia è sempre una paralisi, la cultura dei funzionari in Italia mi stupisce e spesso mi sento nel mondo di Tolstoj, nella burocrazia post comunista, dove il funzionario era la figura ottimale, venerata nella società. Questo mentalità fa parte del passato ma, per fortuna, il mondo è stato sempre salvato dai giovani, e oggi è vero ancora di più perché negli anni ‘ 70 l’informatica ha cambiato radicalmente la società, il modo di comunicare, di informarsi e di parlare.

Intanto si ha la percezione che Capodimonte sia più vicino alla città: merito solo dello shuttle che collega il centro con il museo?

Capodimonte non è mai stato lontano dalla città. Chi vive a Londra per visitare i tre principali musei ( British Museum, National Gallery e il Victoria & Albert Museum) sa che deve fare almeno una o due ore di metropolitana e lo stesso vale per chi vive a Parigi, nel 14° arrondissement per esempio. A Napoli il problema non è la distanza, ma la carenza di trasporti anche se sto apprezzando molto gli sforzi che il Comune e la Regione Campania stanno facendo per migliorarli e renderli più efficienti e confortevoli.

Lei sta recuperando uno dei giardini storici più importanti al mondo, sta restituendo il bosco al quartiere e alla città.

ll Bosco di Capodimonte è enorme, il doppio della Reggia di Caserta, 5 volte le dimensioni di Pompei, 3 volte la Città Vaticana e 5 volte il Giardino Boboli. Stiamo organizzando il bosco per dare a chiunque il proprio spazio in modo che ognuno possa utilizzarlo ma anche aiutarci a proteggere e tutelare il giardino storico: abbiamo fatto campi di calcio, faremo campi di cricket, spazi per i bambini e un percorso sportivo di quasi 2 chilometri e spazi di pic- nic, anche grazie alla volontà del presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, che ha realizzato mi- glioramenti in tal senso nei parchi di Salerno.

Quanto le nuove tecnologie, i social media, la diversità culturale hanno inciso in questo nuovo e più forte posizionamento del Museo di Capodimonte?

I numeri del sito web e dei nostri social sono in netta crescita: il sito www. museocapodimonte. beniculturalli. it conta 1.019.721 visite, il profilo Instagram 3.428 followers, Twitter ha ben 2.663 followers e Facebook ha superato da poco i 50mila followers. Per quant riguarda poi la diversità culturale è nella definizione di un museo. Chi sa, per esempio, che si trova a Capodimonte la collezione del grande esploratore Capitain Cook? A Capodimonte abbiamo oggetti provenienti dalle Hawai, dalla Nuova Zelanda e da ogni parte più remota dell’universo ed è per questo che vorremmo, in futuro, dedicargli una mostra.

Lei ha scritto che “la crescita dei musei è quasi simbolo della rinascita del Mezzogiorno”. Ritiene che Napoli e il Mezzogiorno d’Italia possano vivere di solo turismo?

Nessuno può vivere di solo turismo, anche se il turismo è senz’altro una grande ricchezza, ma va curato e sviluppato meglio soprattutto nel Mezzogiorno che, a mio parere, oggi si trova nella stessa situazione della Toscana di qualche decennio fa, quando fu scoperta da Bernard Berenson con ricchezze incredibili, spesso sconosciute, piccoli musei, teatri, tanti luoghi di musica jazz, rock, pop ( non si capisce Napoli senza la sua musica!). Tutto questo ai più è sconosciuto, resta un segreto e questo è certamente affascinante per i turisti che qui provano ancora il sentimento dello stupore nel vedere un mondo totalmente originale. Io credo che Napoli sia la vera Italia, quella di Fellini, Visconti, Moravia, De Sica, Rossellini: il cinema della mia infanzia lo trovo vivo nelle strade di Napoli.

Direttore, lei ha dichiarato di aver votato Macron. Quali riforme si aspetta dal presidente?

In primo luogo quella del lavoro, attesa da tutti i francesi. Poi Macron dovrà lavorare molto per far capire a tutti che l’Europa non è solo un’amministrazione ma una grande chance. L’Europa è l’unico modo per resistere economicamente e culturalmente all’Asia e agli Stati Uniti.