Con un pizzico di cinismo si potrebbe dire che è tutta una questione d’eredità. Quanto valga in termini di voti quella del vecchio Ulivo è incerto, ma dal punto di vista dell’identità politica il lascito dell’albero di Prodi è prezioso. Anche chi ne dubitava ha potuto accertarlo nella scabrosa vicenda della legge elettorale, affossata molto più dalle resistenze del fronte maggioritario- ulivista che non dai 5Stelle, che hanno offerto l’occasione d’oro a Renzi per smarcarsi da un accordo che proprio il pollice verso del vetusto albero aveva reso un calvario.

Quell’eredità Giuliano Pisapia la vuole per sé, la rivendica con for- za, la evoca come può. I continui richiami alla coalizione erano già chiari di per sé. La scelta di convocare la manifestazione- battesimo del primo luglio a Roma di fronte all’antica sede dell’Unione e infine l’esplicita dichiarazione a favore di una impossibile candidatura Prodi vanno anche oltre. In realtà le parole pubbliche sono solo il riflesso di un lungo lavoro sotterraneo. L’obiettivo è la benedizione ufficiale del movimento di Pisapia da parte non solo di Romano Prodi ma anche di tutto il gotha ulivista che in Renzi non si riconosce più: Letta, Rosi Bindi, nei dovuti modi persino Giorgio Napolitano che fra tutti è forse il più deluso dal ragazzo di Rignano.

Non si tratterebbe certo di scese in campo concreto, Pisapia non si aspetta di vedere Prodi o Letta nelle sue liste e quando dice che gli piacerebbe che il professore scendesse di nuovo in campo lo fa per lusingare il padre dell’Ulivo, non perché ci speri o lo voglia davvero. Ma una qualche forma di benedizione, un passaggio esplicito di testimone sarebbero una mano santa: la certificazione che il reprobo di Rignano è stato diseredato e che la fiaccola dell’Ulivo è ora in altre mani: quelle dell’ex sindaco di Milano. Il punto debole, almeno per ora, dell’operazione è l’assenza di un punto di caduta concreto. Molti degli scissionisti dell’Mdp, sia quelli di provenienza Pd che i fuoriusciti dalla ex Sel, sarebbero disponibilissimi. A quello in realtà miravano sin da quando erano la spina nel fianco di Renzi all’interno del Pd. Gli ex Sel, come Massimiliano Smeriglio o Ciccio Ferrara sono persino più lanciati. Però un’altra parte del movimento o Articolo 1 come ufficialmente si definisce, è di parere opposto e i contrari all’abbraccio sono a loro volta nomi di peso: D’Alema tra gli ex Pd, l’ex capogruppo Scotto tra gli antichi vendoliani.

Sul frastagliato fronte sinistro il ritorno al centrosinistra è parola d’ordine proibitiva per tutti: da Sinistra italiana, erede di Sel, alla Lista Tsipras per non parlare di Rifondazione. Ma ciò che rende a tutt’oggi vaga indefinita l’operazione Pisapia è il rifiuto di Renzi. É davvero molto difficile parlare di centrosinistra con un segretario del Pd che non ha alcuna intenzione di sterzare davvero a sinistra e che comunque di ritrovarsi tra i piedi gli ex dissidenti, da Bersani a Speranza allo stesso D’Alema, non ha alcuna voglia. Lo stesso Pisapia, a sua volta, non intende arruolare quelle aree troppo radicali, che non gli permetterebbero di apparire come l’erede di Romano Prodi.

Al momento, quindi, la manovra di Pisapia è tutta e solo d’immagine. Come mettere poi a frutto quell’immagine è problema che l’ex primo cittadino milanese si porrà solo in un secondo tempo. Si muove in realtà all’opposto di come si fa di solito: non schierando una forza elettorale per poi disporla sullo scacchiere politico ma conquistando un ruolo politico, basato su una specie di cambiale in bianco, per poi cercare di trasformarlo in voti sonanti.

Ai fini dell’immagine la sponsorizzazione dei padri nobili è fondamentale. Pisapia già può contare su una stampa che, a partire da Repubblica, è più che pronta a prendere sul serio una forza politica che ancora non si sa se mai nascerà. E’ già riuscito nell’ardua missione di porsi al centro del dibattito politico senza avere né un partito né un progetto definito e possibile da proporre. Con l’appoggio dell’antico stato maggiore il suo movimento virtuale acquisterebbe un peso politico notevole ' sulla fiducia', senza dover disporre di truppe. Il quesito è se Romano Orodi, e gli altri ulivisti con lui, se la sentiranno di spendersi apertamente per un progetto che per ora è solo virtuale.