Prudenza e sostegno al governo Gentiloni, in attesa che il quadro politico si chiarisca e il Pd possa mettere a punto la roadmap di avvicinamento al voto che, inevitabilmente, passerà dal nodo alleanze e dalla questione “primarie” rilanciata da Pisapia. Il deputato del Pd, e relatore del “Tedeschellum”, Emanuele Fiano fa il punto dopo il primo turno delle amministrative e anche la sua analisi del voto è molto equilibrata. «Siamo davanti ad un sostanziale pareggio» il commento in attesa dei ballottaggi del 25 giugno.

Dopo il primo turno considerate Grillo fuori dai giochi?

Io sarei molto prudente da questo punto di vista. Non credo che i Cinque Stelle siano scomparsi dalla scena politica italiana. Hanno soltanto dimostrato di non essere adatti alle competizioni amministrative. Nei comuni al di sopra dei 15mila abitanti si vota con un sistema maggioritario a doppio turno nel quale sono favorite le alleanze che il M5S non fa. Ovviamente andando da soli diventano più deboli. Sicuramente il voto, però, consegna segnali negativi per il movimento, legati alla sua modalità di gestire il dibattito interno che si traduce nel mandare via chi dissente. Un modo di fare che a Parma e Genova ha dato i suoi frutti. E poi credo che le difficoltà nell’amministrazione incontrate da Virginia Raggi e Chiara Appendino non portino di certo nuovi elettori.

Ad urne chiuse Grillo ha lanciato la svolta anti immigrati. Lo giudica un cambio di rotta dovuto al risultato elettorale?

Mi sembra abbastanza evidente. I Cinque Stelle sui grandi temi si comportano come delle banderuole. Spingono l’acceleratore non in base ad una costruzione culturale, ma in relazione al punto in cui vedono più debole il loro rapporto con gli elettori. Poiché adesso ritengono che la loro competizione futura sarà con il centrodestra, cercano di guadagnare terreno con politiche più dure in tema di immigrazione. Ravviso nell’operazione un cinismo politico che non fa loro onore.

Le amministrative le ha vinte il Pd allora… Non credo neanche questo. Al momento il primo turno può considerarsi un sostanziale pareggio fra centrodestra e centrosinistra. Senza dimenticare però che nei comuni sopra i 15mila abitanti abbiamo vinto direttamente in 22 casi, siamo al ballottaggio come primi in 45 casi e in 41 siamo secondi. E’ un pareggio del primo tempo, ma ci sono le condizioni per vincere la partita.

Concorda con chi dice che l’ultima tornata ha fatto registrare un ritorno al bipolarismo e ai partiti?

E’ proprio del sistema maggioritario con il quale si è andati a votare provocare la polarizzazione attraverso il meccanismo delle alleanze non solo dei partiti, ma anche delle liste civiche. Per forza di cose questo sistema favorisce la polarizzazione.

Inevitabile che adesso si torni a parlare di legge elettorale. Lei, che è stato relatore del cosiddetto “Tedeschellum”, pensa ci siano i margini per provare un nuovo accordo?

Al momento non credo ci siano i margini per trovare un’intesa. Le leggi si fanno con un consenso in Parlamento che al momento non esiste. Noi abbiamo provato a raccogliere l’invito del presidente della Repubblica a fare una legge elettorale in tempi rapidi e con il più ampio accordo delle forze politiche, ma non ci siamo riusciti. Abbiamo provato a costruire un consenso intorno al sistema maggioritario con il Mattarellum e non è andata bene, ci abbiamo riprovato con il sistema semi maggioritario previsto dal Rosatellum e non è andata bene ugualmente. Infine abbiamo provato l’intesa più larga possibile con l’ultimo testo di legge da me presentato in Aula, ma ci siamo dovuti arrendere davanti a un episodio che ha fatto saltare quella alleanza composta dell’ 80% delle forze politiche su un argomento che nessuno aveva dichiarato dirimente e dunque anche quella maggioranza è caduta. Adesso non mi pare che ci siano i margini per un nuovo tentativo.

Questo vuol dire che il governo Gentiloni proseguirà la propria attività fino al termine della legislatura?

Io penso di sì, anche se mai durante la discussione sulla legge elettorale è stata indicata una possibile data delle elezioni. E’ ovvio, tuttavia, che con il Paese privo della legge elettorale è complicato pensare che possa arrivare una chiamata alle urne anticipata.

In vista delle elezioni, in ogni caso, è ritornata di preponderante attualità la politica delle alleanze. Il Pd con chi farà accordi?

Attraverso le parole del segretario Renzi abbiamo fatto una proposta di apertura a Giuliano Pisapia, che ha risposto ponendo la clausola importante delle primarie per la scelta del candidato premier. Vedremo come evolverà la situazione, ma di sicuro il nostro primo gesto è stato di apertura.

Insieme alla proposta delle primarie, Pisapia ha anche fatto il nome di Romano Prodi per la guida del centrosinistra… Ritengo sia prematuro mettere in mezzo un nome tanto autorevole in questa fase. E poi lo stesso Pisapia ha aggiunto di non credere che Prodi sia disponibile.

Di sicuro Renzi non vuole rifare l’Unione però. Come valuta la presa di posizione del segretario?

Mi pare che non abbia fatto altro che ricordare la storia del nostro Paese e di un’esperienza di governo in cui Prodi è stato sostenuto da 13 gruppi parlamentari. Un’esperienza non facile da condurre, né fortunata proprio a causa di alleanze troppo eterogenee.

Le larghe intese e il dialogo con Forza Italia potrebbero diventare fondamentali allora.

Noi abbiamo parlato con Forza Italia, con il Movimento Cinque Stelle e con la Lega Nord di legge elettorale e soltanto di legge elettorale.