Attualmente ci sono 730 detenuti al regime del 41 bis, tra i quali 100 in attesa di giudizio e 300 sono ergastolani, la maggior parte ostativi. Questi sono i dati attuali che il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ha fornito a Il Dubbio. Ciò significa che oltre la metà, non avendo commesso nessun omicidio, hanno un fine pena e quindi, in media, dopo 10 anni ritornano liberi. La maggioranza dei reclusi al 41 bis sono stati condannati per associazione di tipo mafioso, ( articolo 416 bis), il restante è in regime duro per reati legati al terrorismo. Il dottor Roberto Calogero Piscitello, dirigente della direzione generale detenuti e trattamento, che è stato sostituto procuratore della direzione distrettuale antimafia ( Dda), ha spiegato a Il Dubbio che sono 13 gli istituti penitenziari nei quali sono ospitati detenuti al regime del 41 bis. La misura prevede l’isolamento del condannato in cella, ma anche dei momenti di socialità con gli altri detenuti ( due ore al giorno tra aria e socialità e mai in gruppi superiori a 4 soggetti). Piscitello ha aggiunto che, inoltre, questi altri detenuti «non devono assolutamente appartenere allo stesso gruppo criminale».

Per via di una legge del 2009, si tende ora a istituire penitenziari dedicati completamente al 41 bis e collocati preferibilmente in aree insulari. Proprio per questo, nel 2015, la casa circondariale di Sassari “Giovanni Bachiddu” ha aperto le porte ai detenuti del 41 bis e, secondo i dati più recenti, vi sono reclusi 90 boss mafiosi, mentre 23 sono in regime di alta sicurezza per terrorismo islamico. Parliamo di un carcere inaugurato nel 2013, ma progettato nel 2005. Il ritardo è dovuto alla realizzazione delle strutture destinate proprio ad accogliere detenuti in regime di 41 bis che non erano state previste nel progetto originario. Il terzo blocco dedicato al regime duro ha una disposizione di celle definita “ad alveare” per evitare qualsiasi contatto all’esterno e con i detenuti delle altre celle. Tutto è pensato per isolare, estraniare, dividere dal mondo come prevede il 41 bis: le celle sono divise in blocchi, nei quali vengono ospitati solo 4 detenuti, gli stessi con i quali si condivide l’ora d’aria e la ' socialità'. Tutto è pensato in chiave moderna. Attigua alla cella è stata progettata una sala per le video conferenze, nella quale i boss possono seguire le sedute dei processi che li riguardano.

Proprio per via dell’esigenza del 41 bis il dottor Piscitello ha spiegato che eventuali traduzioni all’esterno per via dei permessi di necessità – vengono concessi solo per motivi familiari gravi, tipo lutto o grave malattia da parte dei parenti più prossimi – hanno un costo che può raggiungere i 20.000 euro. Ma ciò è inevitabile, perché «il regime del 41 bis – spiega sempre il dirigente della direzione generale detenuti e trattamento – non consente il rispetto della territorialità della pena previsto dall’ordinamento penitenziario, proprio per evitare eventuali rapporti con il clan del territorio di appartenenza». Proprio partendo – ma non solo – da quest’ultimo aspetto, i giuristi e il mondo politico si dividono in due scuole di pensiero: da una parte c’è chi reclama la costituzionalità e l’esigenza di tutte le forme cautelative che prevede il regime speciale, d’altra c’è chi mette in discussione la sospensione dei diritti per i reclusi al 41 bis, negando loro il principio sancito dall’articolo 27 della Costituzione. Oltre all’esclusione da tutti i benefici ( lavoro all’esterno, permessi, semilibertà, arresti domiciliari ecc.). Vedremo in concreto, nella prossima puntata, che cosa prevede il regime 41 bis e se ci saranno delle modifiche volte a umanizzare il regime duro senza precludere lo scopo per il quale è nato.

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Sono 730 i detenuti al 41bis, 100 in attesa di giudizio