Lo scontro sulla giustizia si consuma su vari fronti. L’inchiesta Consip e il suo corollario di intercettazioni sbattute in prima pagina è un aspetto. L’altro conflitto importante si gioca in Parlamento, sulla delega relativa proprio agli “ascolti” che è inserita nella riforma del processo. Con l’inizio dell’esame nell’aula di Montecitorio, previsto per lunedì, si capirà se il veto posto da Renzi sulla fiducia è invalicabile o se sul ddl penale arriverà la “blindatura” chiesta dal ministro della Giustizia Andrea Orlando. Discussione generale subito al via, con la relazione affidata alla presidente della commissione Giustizia Donatella Ferranti. Un magistrato. Più precisamente un pubblico ministero. Ferranti è anche la più diretta testimone dei rischi che preoccupano il segretario pd: la settimana scorsa, proprio mentre la commissione da lei presieduta concludeva i lavori sulla riforma penale, quaranta tra deputati e senatori cinquestelle capitanati da Roberto Fico si sono prodotti in un rumoroso sit- in davanti all’auletta dov’era in corso la riunione. Cartelli con slogan che mettevano all’indice diversi punti della legge: i più vistosi e numerosi lanciavano l’allarme sul presunto “bavaglio alla stampa libera”. Si riferivano, ovviamente, alla delega sulle intercettazioni. Alla batteria di fuoco già testata dai grillini si aggiunge ora parte della grande stampa, con il direttore di Repubblica Mario Calabresi che nel fondo di ieri torna a issare uno storico vessillo della sua testata: il no ad ogni limite nel pubblicare le cosiddette “bobine”.

ACCUSA SCONTATA: DDL SU MISURA PER CONSIP

Nascono qui le preoccupazioni di Renzi. Che teme una plateale e ancora più clamorosa offensiva grillina nell’aula di Montecitorio. Si spiega così il no dell’ex premier alla questione di fiducia. Che peraltro non sarebbe neppue necessario autorizzare, perché alla “blindatura” era già stato dato via libera alcune settimane fa in vista del voto a Palazzo Madama: quella decisione resta efficace anche per l’esame nell’altro ramo del Parlamento. Non a caso nella riunione del Consiglio dei ministri di ieri non se n’è neppure parlato.

Toccare ora le intercettazioni appare, agli occhi di Matteo Renzi, terribilmente rischioso. Non ci so- no dubbi sul fatto che i cinquestelle e non solo loro gli rinfaccerebbero di aver assicurato una corsia preferenziale alla riforma proprio per contrastare altre future imbarazzanti intercettazioni. Ma proprio le norme sull’utilizzo degli “ascolti” è uno dei punti più am- piamente condivisi nel sistema giustizia. La stessa Anm, come spiegato ieri dal presidente Eugenio Albamonte a La Stampa, considera un «principio sacrosanto» la tutela della privacy per le persone estranee al’indagine. Non sono contrarie a quelle norme le Camere penali. Che però ieri hanno giudicato indadeguata perché troppo «tortuosa» la via della legge delega. Poprio nella settimana in cui il ddl sarà in Aula, i penalisti si asterranno di nuovo dalle udienze, con una manifestazione organizzata lunedì presso il Tribunale di Roma a cui interverrà anche il responsabile Giustizia del Pd David Ermini. L’Ucpi contesta i passaggi su prescrizione e processo a distanza, ma condivide quello sull’avocazine obbligatoria.

SCELTA DIFFICILE PER GLI ALFANIANI

Non troppo lontano dalla linea dell’avvocatura penale è l’atteggiamento di Alternativa popolare. Spiega il capogruppo degli alfa- niani in commissione Giustizia, Nino Marotta: «Sulle intercettazioni si deve concretizzare un equilibrio tra esigenze d’indagine, diritto alla privacy e diritto di cronaca: e il divieto di trascrivere le conversazioni che violano la privacy senza fornire elementi utili al procedimento è un aspetto assolutamente condivisibile di quel testo». Ap invece ha provato a cambiare la prescrizione con emendamenti già respinti in commissione Giustizia: «Li riproporremo in Aula, insieme con quelli sul processo in videoconferenza per i detenuti. Prima condurremo la battaglia», spiega Marotta, «poi, anche in base all’esito, decideremo se votare contro il provvedimento nel suo insieme. Certo, se le nostre modifiche non fossero accolte ci troveremmo a scegliere se far passare una riforma con aspetti positivi e altri assolutamente non condivisibili oppure rimandarla al Senato, consapevoli che difficilmente si arriverebbe al sì definitivo entro fine legislatura. Di mezzo ci sono l’estate la sessione di bilancio».

Se dovesse scegliere personalmente, Marotta sarebbe in difficoltà: «Con quella riforma si fa un passo avanti sulle intercettazioni. E, soprattutto, sulla durata delle indagini: alle norme più stringenti sull’obbligo di iscrivere immediatamente l’indagato nell’apposito registro, si aggiunge quella sull’avocazione obbligatoria in caso di inerzia del pm. Quest’ultima novità introdotta con il ddl», argomenta il deputato di Ap, «evita che gli indagati possano restare per anni sospesi in attesa dell’udienza preliminare, e che vedano intanto distrutta la loro vita. E se proprio vogliamo dirla tutta, restringere chiaramente il tempo della fase delle indagini è assai più importante che anticipare di uno o due anni la prescrizione del reato». Considerazione che, come altre, segnala un giudizio per molti versi positivo. Ma con l’aria che tira per via di Consip, ogni discorso cade. E ancora una volta, rispetto al merito delle riforme, rischia di prevalere semplicemente il rumore di fondo dei forcaioli.