Per 24 ore circa il Pd ha provato a spacciarlo per “sistema tedesco”, ignorando o si spera fingendo d’ignorare che il sistema elettorale della Germania è tutto diverso e la somiglianza era puramente superficiale. Alla fine il partitone si è rassegnato ad ammettere che il cerchio quadrato dal genio di Denis Verdini e fatto proprio dal Nazareno altro non è che un Mattarellum modificato.

Nella legge elettorale partorita a suo tempo dall’attuale capo dello Stato e con la quale gli italiani hanno votato tre volte ( nel 1994, 1996 e 2001) il 75% dei seggi veniva assegnato con una sfida tra candidati singoli, collegio per collegio, e chi prendeva un voto più degli altri approdava in Parlamento. Il restante 25% era invece ripartito su base proporzionale.

Verdini e Renzi si sono limitati a raddoppiare la quota proporzionale: metà dei parlamentari verrebbero eletti così, l’altra metà con la sfida nei collegi.

La ratio della legge, nella strategia del segretario del Pd, è palese. Deriva dal ragionamento squadernato subito dopo la doccia gelida del referendum, quello che suonava più o meno così: noi abbiamo perso ma il nostro 40% è compatto, gli altri hanno vinto ma sono un’accozzaglia e quel 60% alle elezioni andrà ripartito in ben più esili porzioni. Poi i sondaggi hanno smorzato l’entusiasmo. Il Pd è lontanissimo dal 40%. Ieri un sondaggio Ixè, che pure lo dava di nuovo in testa rispetto all’M5S, accreditava al Pd il 28,4%. Troppo poco per governare, anche mettendo nel conto una già programmata alleanza con Fi, che ha a sua volta superato la Lega di due decimali: 12,8%.

L’introduzione del 50% eletto col maggioritario potrebbe risolvere il guaio. Le teste d’uovo di Renzi pensano che lì il ragionamento postreferendario potreb- be funzionare davvero. I voti nemici andrebbero infatti dispersi. Gli strateghi accreditano al Pd un 10% di seggi in più che renderebbero plausibile il governo con Berlusconi. La Lega concorda. Concentrata com’è in poche regioni, farebbe man bassa. Gli alati di Verdini ovviamente pure: la trovata è del capo. Purtroppo anche così i voti al Senato non bastano. Ne servono una ventina in più e va da sé che a cercarli è Denis, esperto in materia.

I campi da arare a palazzo Madama sono tre: il gruppo Misto propriamente detto, Il Gal, che è una sorta di gruppo misto di destra e soprattutto i centristi. Per i ragazzi di Alfano l’elemento proibitivo è la soglia del 5% nella quota proporzionale, dal momento che nei collegi non raccoglierebbero neppure un seggio. Il Pd lo sa e infatti il vicesegretario Guerini già fa discretamente sapere che quel 5% non va mica preso alla lettera. Prontissimi ad abbassarlo sino al 3% se i centristi offrono il loro necessario appoggio alla legge di Denis e Matteo.

Il testo base depositato dal relatore Mazziotti alla Camera, che il Pd probabilmente abbatterà e che è invece approvato da tutti gli altri Lega e Ala escluse, si limita a trasferire al Senato gli spezzoni di Italicum sopravvissuti alla falcidie della Consulta. Ci sarebbe un premio di maggioranza e anche bello cospicuo, ma per ottenerlo bisognerebbe arrivare al 40% e nessuno ci spera, tranne Renzi che però si sa è un tipo troppo ottimista. La soglia sarebbe bassa, 3% sia alla Camera che al Senato, ma questo prima della fase emendativa. Se mai dovesse essere questa la legge con cui andremo a votare, si può scommetere che la soglia sarà alzata ma probabilmente non troppo: intorno al 4%.

Sulla materia, già confusa, pesa tuttavia una nuvola scurissima: il dubbio, universalmente nutrito, che per Renzi il quando andare a votare sia più importante del come. Se quei sospetti fossero fondati la proposta tosco- tedesca, il sistema mezzo e mezzo, sarebbe solo una messa in scena allestita per rabbonire il capo dello Stato, che sul tentativo almeno di varare una legge elettorale degna del nome non transige, per poi far saltare il tavolo e votare subito dopo la pausa estiva. Se invece fosse approvato il modello verdiniano i tempi slitterebbero, essendo necessario ridisegnare i collegi. In realtà le voci di Palazzo ripetono da mesi che Renzi mira proprio a votare con la legge esistente, per quanto monca e tale da quasi garantire l’impossibilità di dar vita a una maggioranza dopo il voto. Probabilmente sono voci fondate.

Al momento sembra invece esclusa ogni chance per la legge a cui mira Berlusconi, quella che permetterebbe le coalizioni e punterebbe su quelle invece che sulla lista. Ma nel caos egemone non si può mai dire. Per Berlusconi, peraltro, il passaggio davvero essenziale è il mantenimento delle liste bloccate. Non gli sarà difficile ottenerlo.