No, quello del rancore sociale non è un portafoglio illimitato, no, non è un pozzo senza fondo: a un certo punto ti trovi a raschiare il barile perché più in là di quella soglia non ti puoi fisiologicamente spingere.

I quasi 11 milioni raccolti da Le Pen nella sfida finale con Emmanuel Macron rappresentano un tetto assoluto per il Front National, sono numeri importanti ma pur sempre una magra consolazione nella cornice di una sconfitta senza appello. E la trionfale prosopopea con cui i frontisti celebrano i «record spettacolari» di Marine non rendono quella sconfitta meno nitida.

Le dichiarazioni che ha rilasciato a caldo davanti i militanti delusi pochi minuti dopo l’incoronazione del suo rivale, dimostrano quanto Marine abbia compreso benissimo i limiti del suo partito che, allo stato attuale, non può certo aspirare a diventare la casa comune dei sovranisti francesi: «Il Front National deve rinnovarsi radicalmente per essere all’altezza delle opportunità storiche che ci attendono, per questo chiamo a una trasformazione del nostro movimento in un nuovo soggetto politico». Florian Philippot, braccio destro di Marine e numero due del Fn ha insistito su questo aspetto, invocando «la nascita di una nuova formazione capace di unire tutti i patrioti». Ora c’è da organizzare la battaglia delle elezioni legislative che si terranno fra cinque settimane, ma nei prossimi mesi verrà un congresso straordinario dal quale dovrebbe nascere l’erede del Fn.

Si tratta di una svolta profonda: non più tardi di qualche settimana fa la stessa Marine rivendicava orgogliosa il nome della sua creatura, «un marchio riconoscibile per un elettorato fedele». Una questione affettiva, ma anche di efficacia politica. Ora però quello zoccolo duro, quegli elettori fedeli non sono più sufficienti a colmare le ambizioni di chi intende «sconfiggere i mondialisti» diventando «la sola voce dell’opposizione» ; se non vuole rimanere ai margini della vita politica c’è bisogno di un nuovo slancio, di nuove idee.

È vero che nell’ultimo decennio l’immagine lugubre del partito di papà Jean- Marie ( con le sue nostalgie vichyste, i negazionismi, la Vandea, il neopaganesimo e tutto il bieco campionario dell’estrema destra transalpina) si è decisamente attenuata, non solo cinica opera di maquillage ma anche cambiamento sostanziale per sdcrollarsi di dosso le ingombranti simbologie del passato: i cinque milioni di voti di scarto tra il Le Pen padre del 2002 e Le Pen figlia del 2017 quantificano l’evoluzione ideologica e politica del consenso frontista e lo sdoganamento del Fn nella società. Oggi anche elettori non necessariamente estremisti non hanno più alcun problema a votare il Front, alle presidenziali e nel voto locale. Ma il tabù resta, lo stigma pure, la reputazione di “appestati” non segue più i dirigenti dell’estrema destra come un tempo, ma attorno a loro rimane uno sgradevole alone di impresentabilità.

Questo è un limite strutturale di tutte le formazioni nazionaliste europee come è emerso anche in altri paesi dove l’ascesa di euroscettici e xenofobi deve fare i conti con il loro isolamento politico e con l’impossibilità di coalizzarsi con altre forze. È possibile ottenere vittorie clamorose sventolando in cielo i propri “no” come dimostra il referendum sulla Brexit ( o quello del 2005 sulla Costituzione europea sempre in Francia), è possibile alimentare il proprio fondo di commercio elettorale agitando spettri xenofobi, ma quando sei costretto ad abbandonare la propaganda e a presentare una tua proposta politica il giocattolo si rompe quasi sempre. L’abbandono di Nigel Farage in Inghilterra, le sconfitta di Geert Wilders in Olanda e di Norbert Hofer in Austria testimoniano la debolezza di tutto il movimento populista, a Parigi come a Roma e a Londra.