Un immigrato ventunenne scampato dalle persecuzioni del regime siriano di Assad venne arrestato a Pozzallo dalla Polizia di Ragusa con il sospetto di appartenere a una cellula solitaria dell’Isis. Le prove che poi vennero utilizzate contro di lui si rivelarono bufale. A coordinare le indagini che portarono il ragazzo a scontare innocentemente più di un anno di galera in diversi istituti penitenziari con sezioni riservate ai terroristi, è stato il capo procuratore di Catania Carmelo Zucccaro. Sì, parliamo del procuratore che in questi giorni ha accusato – senza prove e ancor prima di far partire indagini vere – alcune Ong di essere in combutta con gli scafisti e salvare gli immigrati per destabilizzare l’economia italiana.

La vicenda del ragazzo siriano è emblematica. Morad Al Ghazawi – così si chiama il profugo siriano – finì sulle pagine dei giornali come “l’uomo con il passaporto dell’Isis in tasca”. Nel dicembre del 2015 sbarcò a Pozzallo su una nave con 534 migranti e l’accoglienza non è stata come l’avrebbe immaginata: fu arrestato con l’accusa di terrorismo e in particolar modo ritenuto di essere legato ad una formazione jihadista vicina a Daesh. Sei mesi dopo, a prendere in mano il fascicolo è stato il magistrato Zuccaro perché nel frattempo era diventato procuratore della Repubblica di Catania e sul ventunenne siriano si affidò alla Digos ragusana. Le prove raccolte? Un documento ritenuto un “passaporto dello Stato Islamico” – poi rivelatosi una bufala – rinvenuto nel suo telefono e approssimative traduzioni di messaggi in arabo.

Eppure, nonostante la precarietà della prova, il procuratore nazionale Antimafia Franco Roberti dedicò persino una pagina sul suo libro “Il contrario della paura” a questo caso di arresto per associazione con finalità di terrorismo internazionale: «Insomma, quest’uomo era quasi certamente un terrorista», così riassumeva soffermandosi sul passaporto. In realtà si scoprì, grazie ai giornalisti di MeridioNews e vari servizi giornalistici di Sergio Scandura su Radio Radicale, che il documento in questione era un beffardo “attestato di non– miscredenza” che girava già da alcuni anni su internet. Insomma parliamo di un fotomontaggio virale, un testo satirico rilasciato dal “governatorato della Svezia a nome di Mamo Al Jaziri”, un cantante siriano di origini curde che vive a Stoccolma da anni. Una bufala.

Come se non bastasse, altre sono state le prove che la procura di Catania guidata da Zuccaro considerò schiaccianti. Sull’applicazione whatsapp del ragazzo siriano trovarono il testo che recitava: «Non c’è altro Dio al di fuori di Allah e Maometto è il suo Profeta». Per la Procura era indubbiamente un messaggio di affiliazione allo Stato Islamico. In realtà si scoprì che era semplicemente la “shahada”, uno dei primi precetti del Corano che vale per tutti i musulmani del mondo. Altra prova ritenuta schiacciante era un sms dove ci sarebbe stato scritto “Allah è grande, l’Isis ancor di più”. Fu un evidente errore di traduzione, visto che per i musulmani si tratta di una vera e propria blasfemia. Figuriamoci per gli aderenti allo Stato Islamico.

Nonostante le prove che facevano acqua da tutte le parti, l’accusa sostenuta dalla procura di Zuccaro era rimasta intatta fino alla fine. Infatti, durante il processo, il sostituto procuratore Alfio Fragalà disse: «L’imputato è inserito in un’organizzazione di matrice terroristica. Lo dicono i suoi contatti Facebook, gli scambi di messaggi con Abu Nader dei Martiri di Daraa che mostrano un’ispirazione consona a quella dell’Isis, le foto con le invocazioni ad Allah che, sebbene non terroristiche di per sé, rispondono a una certa ideologia». Il ragazzo, collegato in videoconferenza dal carcere di Sassari, aveva provato a spiegare: «Sono foto dei nostri parenti e amici torturati e uccisi dal regime.

Qualunque siriano le tiene sul cellulare per fare vedere al mondo cosa succede nella nostra terra». Alla fine il Gup Giancarlo Cascino ha prosciolto il ragazzo per «insufficienza e/ o contraddittorietà della prova». Un giovane che, oltre a subire il trauma della guerra civile in Siria, ha dovuto attraversare da innocente il girone infernale di diverse carceri come quella di Rossano Calabro, definita non a caso la “Guantanamo italiana”.