Scena impensabile fino a poco tempo fa. Non che magistrati e avvocati fossero impediti dall’essere «uniti in modo da sprigionare una forza micidiale», come dice Andrea Mascherin. Ma la visione della giustizia in questi anni è stata offuscata da un equivoco.

Che ha un nome: è quel «panpenalismo» capace di ridurre tutto il sistema a «pochi, eclatanti processi penali», per citare Eugenio Albamonte. È qui che si è alzato il muro di silenzio tra i due soggetti della giurisdizione. Venerdì invece nella sede del Consiglio nazionale forense, per la prima volta, una rappresentanza di vertice dell’Anm ha partecipato a un “plenum” dell’avvocatura istituzionale.

Il cosiddetto sindacato dei giudici è stato rappresentato ai massimi livelli: l’attuale presidente Eugenio Albamonte e uno degli altri otto componenti della sua giunta, il giudice civile di Roma Silvia Albano. Fatto ancora più clamoroso è che tutte e due le parti concordino su una svolta epocale: «Possiamo studiare insieme e proporre alla politica ipotesi di riforma sulla giustizia».

Su questo Albamonte si associa con convinzione al presidente del Cnf Mascherin. E ne apprezza molto «l’approccio fattivo e nello stesso tempo ispirato a una visione strategica d’insieme». Tanto da trarne spunto per una “analisi evolutiva” che dà il senso della svolta: «Negli anni scorsi», dice il presidente dell’Anm, «un certo modo disordinato, a volte strumentale di proporre riforme sul processo da parte della politica, ha indotto la magistratura a fare le barricate. Ora, noi non possiamo rinunciare a esprimere una critica, per esempio, su alcuni aspetti della riforma penale. Dobbiamo però farlo in modo costruttivo. E non solo. Proprio in nome di quell’approccio giustamente proposto da Mascherin in termini di strategia politica, dobbiamo anche recuperare un nostro ruolo di proposta, e spero appunto che potremo farlo insieme con l’avvocatura».

Basterebbe davvero questo. La novità del discorso suscita persino un comprensibile stupore nell’uditorio, ossia il Consiglio nazionale forense al gran completo.

Mascherin ribadisce un concetto pienamente condiviso dai due magistrati che lo affiancano: «Non nascondiamocelo, la politica sa che se divide aumenta il proprio potere: ma se avvocatura e magistratura sono unite diventano un esercito impossibile da fermare. Avvocati e magistrati possono essere sconfitti solo se questa unità non c’è. Altrimenti sono una forza a cui è difficile contrapporsi anche culturalmente».

Punti forti di una piattaforma comune? Secondo Mascherin innanzitutto «la valorizzazione delle garanzie nel nostro sistema processuale, che vanno preservate dalla pretesa di sacrificarle sull’altare dell’efficientismo». Poi una questione di metodo: «Possiamo sperimentare questo rapporto su progetti condivisi, e propongo da subito di istituire un laboratorio comune: l’importante è che questa dialettica sia pubblica», dice il presidente del Cnf.

Albamonte invita a tenersi lontani da «velleitari tentativi di rivedere in modo strutturale il sistema del processo: non sono questi i tempi, non sono queste le maggioranze o il contesto politico adatti. Possiamo invece indicare insieme pochi ma significativi punti tematici, penso al tema della depenalizzazione: un approccio comune di magistratura e avvocatura su questo non c’è mai stato. Lo si è lasciato alla sola iniziativa della politica, con risultati non sempre soddisfacenti».

Il presidente Anm tiene però moltissimo a una «vigilanza comune sugli investimenti da assicurare alla giustizia, sia dal punto di vista del personale che dell’aggiornamento tecnologico». Ricorda che «le 2000 assunzioni predisposte dal ministro Andrea Orlando sono un’importante inversione di tendenza. Però a questo segnale si deve dare continuità. E poi il personale giudiziario deve essere particolarmente qualificato anche perché solo così può dare maggiori garanzie sul piano della riservatezza» .

C’è infine un aspetto da non trascurare: le resistenze interne. Spiega Albamonte: «Ci sono ancora alcune rigidità, rispetto a una collaborazione la più ampia possibile tra magistrati e avvocati. Ma sono posizioni che hanno anche una storia e non vanno criminalizzate. È giusto che noi», cioè i vertici di Anm e Cnf, «conduciamo un lavoro di persuasione, ciascuno nel proprio ambito. Cominciamo a fare le cose insieme, basta non limitarci a essere due avanguardie ma fare in modo da portarci dietro le nostre categorie professionali».

Discorso realista e consapevole. Che ha una postilla importante, suggerita dalla dottoressa Albano: «Gli osservatori sulla giustizia civile in questi anni sono stati un laboratorio straordinario di proposte e buone prassi. Facciamo pure un tavolo di lavoro nazionale, ma quelle preziose esperienze locali proviamo a portarle anche nella giurisdizione penale». Che vorrebbe dire abbattere il vero muro innalzato in questi anni dalla guerra sulla giustizia.