Con la nuova presidenza dell’Anm Andrea Orlando dialogherà senza preclusioni. Ma dovrà subito rispondere con un «no» ad Eugenio Albamonte, appena subentrato a Piercamillo Davigo: non accoglierà la richiesta di modificare il ddl penale. Non presenterà alla Camera interventi sull’avocazione obbligatoria o sulla disciplina dei trojan. Sarà un rifiuto tutt’altro che irrilevante politicamente. E il motivo è presto detto. La prima giunta presieduta da Albamonte, riunitasi l’altro ieri, ha deciso si inviare alle massime cariche istituzionali un dettagliato parere sulla riforma del processo. Oltre allo stesso ministro della Giustizia e ai deputati che a fine maggio, secondo il calendario della commissione Giustizia, dovrebbero apporre l’ultimo sigillo sul disegno di legge, i magistrati intendono sensibilizzare anche i giornali. Nei prossimi giorni sarà convocata una conferenza stampa per spiegare le ragioni del dissenso su alcuni aspetti della riforma. Due in particolare: l’automatismo con cui il procuratore generale dovrebbe acquisire tutti i fascicoli per i quali il pm, dopo 3 mesi, non ha ancora esercitato l’azione penale; e l’esclusione delle associazioni a delinquere non mafiose dal novero dei reati per i quali i trojan horse sono sempre utilizzabili. Due passaggi molto delicati dell’ampio ddl, che nella sua versione uscita a metà marzo da Palazzo Madama contava qualcosa come 94 articoli ( formalmente tutti commi di un unico maxiemendamento). Proprio la stratificazione e la complessità dell’impianto legislativo impediscono, a questo punto, alla Camera e allo stesso ministro della Giustizia, di aggiustare i punti contestati.

«È noto come su questa legge restino alcuni dissensi», osserva il capogruppo del Pd in commissione Giustizia Walter Verini, «ma ci sono anche diversi innegabili passi avanti. Chi volesse modificare ancora il provvedimento si assumerebbe la responsabilità di correre un rischio: non arrivare all’approvazione definitiva. La mia è un’opinione personale», spiega Verini, «ma così come mi auguro che il Senato non ci rimandi modificato il testo su magistrati e politica, allo stesso modo credo che la Camera dovrebbe scongiurare una nuova navetta sulla riforma del processo». Le obiezioni del deputato dem si fondano anche su una specifica questione. Nel testo sono contenuti due passaggi, assai qualificanti, per i quali sarà necessario emanare decreti delegati al più tardi entro la fine della legislatura: intercettazioni e riforma penitenziaria. Nel primpo caso, una “clausola” inserita proprio nell’ultima lettura in Senato ha stabilito che parte delle norme attuative dovrà essere approvata entro tre mesi dall’entrata in vigore della riforma. Nel secondo si dovrà comunque fare in fretta, perché le leggi delega non sopravvivono alla fine della legislatura: se le Politiche fossero anticipate anche solo di pochi mesi, i decreti sul carcere resterebbero nel cassetto, tutta la riforma penitenziaria andrebbe a farsi benedire e Orlando vedrebbe svanire il lavoro degli Stati generali, da cui provengono i principi della delega.

Ce n’è abbastanza per essere costretti e sentirsi anche un po’ giustificati nell’opporre un garbato rifiuto alle richieste di Albamonte. Le cui argomentazioni hanno fon- damento. Ma nel caso dell’avocazione obbligatoria, per esempio, va detto che si tratta di un surrogato delle norme che l’avvocatura aveva reclamato e che avrebbero dovuto sancire un vincolo più stringente per i pm a iscrivere subito il nome dell’indagato nell’apposito registro, pena possibili sanzioni disciplinari. Una modifica al codice di rito che avrebbe reso più certo il tempo effettivo delle indagini. Fu proprio l’Anm a opporsi e a indurre via Arenula a ripiegare sull’avocazione obbligatoria. Riguardo ai trojan, Albamonte ricorda che «circoscrivere l’adozione incondizionata di tale strumento investigativo alla sola associazione a delinquere di stampo mafioso e al terrorismo vuol dire perdere una marea di informazioni utili nelle inchieste su reati associativi con finalità diverse. Comprese la corruzione e la criminalità informatica» . C’è un dettaglio che da una parte sembra appesantire ancora di più il quadro e dall’altra nei fatti mette una pietra sopra ogni residua possibilità di emendare ancora la riforma: l’aspra presa di posizione dell’Unione Camere penali, appena reduce da una settimana di astensione dalle udienze e a propria volta furibonda per due passaggi completanmente diversi dell’articolato: l’allungamento della prescrizione e i processi in videoconferenza. Da una parte accontentare l’Anm significherebbe suscitare proteste ancora più dure da parte dei penalisti. All’inverso, limare gli aumenti sulla prescrizione o eliminare le udienze in video per i detenuti non farebbe certo felice la magistratura inquirente ma soprattutto comprometterebbe uno snodo dal quale il governo si aspetta di realizzare dei risparmi. La prova che una riforma del genere, per le sua complessità, non può che scontentare a destra e a sinistra. Ma anche che cambiarla a questo punto è impossibile, come dice Verini. Ce la si dovrà tenere così com’è. E piuttosto, nell’ultimo scorcio del suo mandato da guardasigilli, a Orlando toccherà anche il difficile compito di ricucire sia con l’Anm che con le Camere penali. Dopo aver passato una parte dei suoi 3 anni a via Arenula proprio a mediare tra le due opposte posizioni.