«C’è un merito che tra gli altri va riconosciuto a Piercamillo Davigo: aver spezzato un certo isolamento che si era creato attorno all’Anm. Lo ha fatto con la sua capacità di spiegare questioni complesse in modo semplice». Il nuovo presidente dell’Associazione magistrati Eugenio Albamonte lo dice senza eccessi di diplomazia. Intanto toccherà a lui riannodare i fili di un dialogo che l’asprezza del predecessore ha messo a dura prova. Il magistrato della Procura di Roma ha un approccio molto aperto su temi che all’ex pm del Pool sono meno cari, come la tutela dei nuovi diritti. Ma sulla distensione tra toghe e politica fa subito intendere che la sostanza non è cambiata: «Una cooperazione tra politica e magistrati per restitui- re credibilità alle istituzioni? Credo che si debba partire dalle risorse per l’amministrazione della giustizia. Che negli anni scorsi sono state ridotte e che devono essere ancora in gran parte reintegrate, o recuperare credibilità sarà difficile».

Però lei non è pessimista su un impegno reciproco.

Ci sono due piani diversi, lo ripeto. Uno riguarda le risorse da destinare alla giustizia perché funzioni. Durante i governi di centrodestra sono state proposte riforme a costo zero e si sentiva ripetere di continuo che tribunali e magistrati rappresentavano un costo senza fine, da ridurre. Sono stati di parola.

E ora?

Al ministro Orlando l’intera magistratura ha manifestato un segno di apprezzamento, ma se non si dà continuità pluriennale ad alcuni suoi interventi la credibilità non la si recupera.

Voi magistrati potreste favorire la distensione con una vigilanza ferrea sulle intercettazioni che violano la privacy?

È il secondo aspetto della questione e su questo terreno la magistratura mi pare abbia dato segnali forti e chiari. Si è impegnata in modo fattivo nel tutelare la privacy di chi è intercettato, attraverso procedure virtuose mirate proprio a evitare che vengano diffuse conversazioni di privati estranei all’indagine. Ma su questo pure andrebbe fatto un chiarimento.

Quale?

Vanno tutelate le informazioni private e che però, nello stesso tempo non sono rilevanti per l’inchiesta. Se sono indagato per corruzione non c’è motivo di far sapere che ho un amante o quali siano i miei orientamenti sessuali. Ma se l’amante è un compli- ce, l’aspetto privato si fonde con quello di rilevanza penale.

Vanno inasprite le pene per chi pubblica atti giudiziari e viola così una precisa norma del codice?

In generale non sono favorevole a nuove norme penali. Sarebbe più utile introdurre sanzioni pecuniarie significativamente più elevate delle attuali, non per il giornalista ma per la testata.

Ma condivide l’appello a tutelare la privacy lanciato dal procuratore Pignatone su Repubblica?

Trovo le sue considerazioni estremamente condivisibili. Ha dato una chiara rappresentazione di quale sia il punto di vista della magistratura più avveduta su un tema delicato come questo. Mi pare che Pignatone abbia fornito uno di quei segnali forti e chiari, di cui dicevo prima, offerti dalla magistratura sul piano della respon-sabilità.

Nel rinvio della decisione del Csm su Emiliano non si potrebbe vedere un’oggettiva saggezza? In fondo nessuno potrà parlare di interferenza con le primarie del Pd.

Ormai siamo abituati a fare di continuo dietrologie sulla giustizia. Persino sui dettagli di carattere temporale. Arriva un avviso di garanzia e si parla di inchieste a orologeria. La giustizia segue semplicemente i propri tempi e a volte si creano sovrapposizioni. Che qualcuno puntualmente strumentalizza.

Sull’avocazione obbligatoria, prevista nel ddl penale, l’Anm protesterà con la stessa durezza mostrata sulle pensioni?

La prima riunione della nuova giunta esecutiva si è chiusa venti minuti fa: abbiamo deciso di avviare una sottolineatura molto critica su alcuni aspetti della riforma del processo, e in particolare sull’avocazione obbligatoria. Abbiamo adottato un parere che verrà sottoposto a tutte le più alte cariche istituzionali, al Parlamento che deve ancora vagliare la legge e ai mezzi di informazione: nei prossimi giorni convocheremo una conferenza stampa per segnalare quanto sia pericolosa quella norma.

Cos’altro non va in quel ddl?

Finora c’è stata poca attenzione sul tema dei trojan. Un passaggio di assoluta gravità. Anche qui è necessario chiarire: non è che i trojan servano ad aumentare la capacità delle Procure di intercettare le telefonate, semplicemente consentono di tenersi al passo con l’evoluzione della tecnologia. Le conversazioni come quelle fatte attraverso whatsapp e messanger possono essere captate solo con i trojan. Ora, ridurre l’uso dello strumento ai soli casi di associazione mafiosa o di terrorismo è assolutamente sbagliato, va contro la linea indicata in precedenza della Cassazione e crea vertiginosi paradossi.

A cosa si riferisce?

Al fatto che non potremmo usare i trojan contro chi commette reati informatici utilizzando proprio i trojan. È solo un esempio. La stessa cosa vale per le intercettazioni ambientali: ma lei lo sa che in Mafia Capitale è emerso come alcuni indagati avessero acquistato su internet, per poche decine di euro, degli aggeggi che rivelano la presenza delle microspie?

Nella norma che razionalizza i costi delle intercettazioni crede si nasconda un taglio delle risorse?

È il solo aspetto della legge approvata dal Senato sul quale ci riserviamo un ulteriore approfondimento. Secondo quanto il ministero della Giustizia aveva assicurato, ne dovrebbe venire solo una maggiore uniformità nei costo delle intercettazioni per unità di tempo. Ma se dalla combinazione con altre norme ne conseguisse di fatto un taglio nei capitoli di spesa, sarebbe grave.

Vi occuperete anche dell’obbligo di informare le scale gerarchiche previsto per la polizia giudiziaria?

È un altro tema che la giunta precedente ci ha lasciato in eredità e che ci prepariamo ad affrontare.

E quale modifica proporrete?

Guardi, finché non è stato emanato il decreto in questione era stabilito che la polizia giudiziaria non potesse informare le scale gerarchiche a meno che non fosse espressamente autorizzata dalla Procura. La cosa più semplice sarebbe tornare all’antico, considerato che nel 99 per cento dei casi quell’autorizzazione veniva concessa. Altrimenti su può integrare la nuova norma con l’eccezione per cui se l’ufficio titolare delle indagini lo richiede, le strutture investigative devono necessariamente rispettare il segreto.

È vero che la corruzione è più radicata oggi che ai tempi di Tangentopoli, come sostiene Davigo?

Non è facile misurare in modo quantitativo un fenomeno quasi del tutto sommerso. Ma è la qualità, per così dire, del fenomeno che è geneticamente modificata. Emerge con sempre maggiore chiarezza che a corrompere sono spesso le organizzazioni criminali. Se prima l’alternativa, per il pubblico ufficiale, era semplicemente cedere o no alla lusinga, ora c’è un elemento in più: se cedi alla lusinga otterrai quella somma, ma se non lo fai potrebbero esserci conseguenze di segno opposto. Il dato coercitivo mi pare il vero aspetto di novità. E il caso di Mafia Capitale mostra come l’incrocio tra corruzione e criminalità organizzata si sia affrancato dai propri tradizionali limiti di insediamento.

Ma insomma, le irruzioni mediatiche di Davigo, a quanto pare non sempre condivise nell’Anm, vi sono servite o no?

Premessa: io ritengo che Davigo si sia sempre mosso in linea con le altre componenti associative dell’Anm. C’era un programma concordato all’insediamento della giunta. Poi ci sono argomentazioni che ciascuno può liberamente proporre in base alla sua sensibilità, e ciascun presidente ha uno spazio autonomo per rappresentarle. Detto questo, ripeto che la capacità di Piercamillo Davigo di continuare a far comprendere le posizioni della magistratura è stata preziosa.

Ma non è che il gruppo di Davigo diventerà una specie di minoranza interna, nella giunta unitaria dell’Anm?

Niente affatto. La prima riunione di giunta, appena conclusa, si è svolta in un ottimo clima e ne sono assolutamente soddisfatto.