Davide Casaleggio - che da quello che mi pare di aver capito è il capo politico del Movimento 5 Stelle - ha scritto sul Corriere della Sera, in occasione del primo anniversario della morte di suo padre Gian Roberto, un articolo molto interessante sul futuro della società moderna. In questo articolo direi che si amalgamano perfettamente le due caratteristiche principali del movimento: la sua capacità di proiettarsi verso il nuovo - in modo assai spregiudicato, libero - e una certa rozzezza (uso questa parola senza nessuna intenzione polemica) nell’individuazione dei mezzi: cioè nella definizione della politica. La giusta analisi di Casaleggio jr.  Ma la risposta non può essere un astronauta

Casaleggio descrive - credo con competenza - una nuova rivoluzione tecnologica, e dice che questa rivoluzione nei prossimi dieci anni cambierà il rapporto tra essere umano e macchine molto più di quanto sia successo nel corso di tutto il Novecento, cioè nel secolo dell’innovazione. Il risultato sarà un terremoto sociale ed economico. E un mutamento profondo e massiccio di tutte le relazioni tra le persone, tra queste e la ricchezza, e la produzione, e la vita quotidiana, e l’organizzazione statale. L’insieme delle innovazioni e delle automazioni che ci aspettano, a breve termine, renderà “marginale” il ruolo del lavoro, e cioè dell’elemento che in tutti i secoli passati - e soprattutto nell’ultimo secolo - è stato il perno della comunità, della produzione, della ricchezza, e anche della dislocazione dei ceti e delle classi e dei rapporti di potere tra loro, e di subordinazione, e di dominio.

Si può forse affrontare un simile stravolgimento nella vita dei singoli e della collettività - si chiede Casaleggio - senza ripensare la politica, i suoi compiti, le sue competenze e i modi di organizzarsi? Si può immaginare un funzionamento della democrazia che sia identico a quello dell’Ottocento o del Novecento?

Naturalmente io non so se le previsioni ipertecnologiche di Casaleggio siano attendibili, o se siano invece esagerate. E tuttavia il suo ragionamento mi pare ineccepibile, e la domanda che ci propone ineludibile. Così come mi pare assai interessante il problema che Casaleggio ci prospetta e che riguarda la vita e il futuro della generazione di mezzo - di mezzo tra vecchi e bambini - ossia quella che oggi ha vent’anni o trenta e che raggiungerà l’età matura in un periodo di transizione nel quale sarà troppo anziana per inventarsi nuove collocazioni lavorative e troppo giovane per farsi da parte.

Detto tutto ciò, ed espresso un convinto apprezzamento per la serietà e la nettezza dell’analisi di Casaleggio, sono restato davvero basito di fronte all’annuncio del leader dei 5 Stelle, il quale ci dice che per affrontare l’insieme di queste tematiche epocali si terrà un convegno nei prossimi giorni e questo convegno riunirà - tra le persone di prestigio massimo - il direttore del Fatto e quello de La Sette ( cioè il quotidiano e la tv di riferimento del Movimento 5 Stelle), l’amministratore delegato di Google Italia, un astronauta, un paio di magistrati e Beppe Grillo. Nel respiro cortissimo di questo convegno vedo la contraddizione di fondo del Movimento 5 Stelle: appunto quella tra grande ricerca dell’innovazione e piccolo cabotaggio in politica. Lo dico senza nessun disprezzo né supponenza: il limite nel pensiero - tutt’altro che banale - di David Casaleggio, che poi rappresenta la cultura di fondo sulla quale lui e suo padre hanno costruito e dato un’anima al Movimento, è esattamente questo: credere che lo sviluppo della tecnologia non sia un elemento della modernità, ma sia “esso stesso” la modernità. E che la rivoluzione tecnologica in divenire non sia una fase storica da valutare, capire, e soprattutto governare, sulla quale costruire il destino collettivo: ma possa rappresentare di per sé il nuovo aggregato in grado di governare il mondo e di sostituirsi alla politica e alla democrazia. Il Movimento 5 Stelle - mi pare identifica democrazia e tecnologia. E da questo connubio fa nascere la sua idea di democrazia diretta, che non ha niente a che fare con l’aumento dei poteri “dal basso”, ma diventa semplicemente un modo per “rottamare” la vecchia idea di democrazia politica - irrobustita da tre secoli di pensiero politico, filosofico, sociologico che ha impegnato le più grandi menti dell’occidente - e sostituirla con un nuovo meccanismo di organizzazione sociale, basato da un lato sulla conquista del consenso - che avviene attraverso “lo spettacolo”, la “politica spettacolo”, l’” informazione spettacolo”, la “giustizia spettacolo” dall’altro sull’automazione del governo e dei programmi, che si ottiene attraverso un mix perfetto di software e hardware. E che permette di rimpiazzare l’intelligenza politica, che spesso produce programmi ma anche corruzione, con la precisione incorruttibile e algida dell’intelligenza automatica.

Nel parterre del convegno dei 5 Stelle sul futuro, c’è esattamente l’incarnazione di questa idea: Google, qualche tecnologo, Mentana e Travaglio per l’informazione spettacolo - due giornalisti formidabili, che però non hanno mai preteso di essere pensatori politici - Grillo per la politica spettacolo, e poi la magistratura come ultimo retaggio accettabile del vecchio regime, in grado di assumere un ruolo decisivo nel nuovo regime: e cioè di sostituire lo Stato di diritto con la propria autorevolezza e con il proprio messaggio etico.

L’idea che insieme alle tecniche informatiche e alle tecniche del consenso occorra costruire pensiero politico, ideologia, analisi sociale, è una idea che non viene neppure presa in considerazione da Casaleggio. La funzione degli intellettuali - filosofi, scrittori, sociologi, scienziati - è vista come una sovrastruttura del passato. Inutile, goffa: da eliminare. Nella vecchia politica i capi dei partiti si circondavano di intellettuali. Facevano così Togliatti, De Gasperi, Berlinguer, Moro, Craxi. In misura minore ha fatto così anche Berlusconi, che quando fondò “Forza Italia” mise intorno a sé degli organizzatori, degli uomini di azione - come dell’Utri o Previti - e poi degli uomini della comunicazione - come Emilio Fede, o lo stesso Mentana - ma anche un bel drappello di intellettuali puri, di valore, come Lucio Colletti, Marcello Pera, Giuliano Urbani, Piero Melograni, Saverio Vertone, Giulio Tremonti, Giuliano Ferrara e molti altri ancora.

Casaleggio invece pensa di non averne bisogno. Si coccola Travaglio e l’astronauta e immagina di poter affrontare da solo i problemi teorici giganteschi che ha evocato. Senza chiedere un confronto e un contributo alle altre forze politiche, all’intellettualità, agli economisti, ai sindacati. Senza aprire un confronto ideale. Forse perché ha una totale sfiducia nell’intellettualità e nelle attuali forze politiche. Forse perché pensa di potere - e di dovere - “spianare” l’intero castello della vecchia democrazia, e che questa sia la condizione per costruire il nuovo.

Può anche darsi che il Movimento 5 Stelle vincerà le elezioni, l’anno prossimo, e conquisterà il governo. Se però non rinuncia al suo isolazionismo, e dunque alla sua rozzezza politica, sarà un disastro per il Paese. In nessuna parte del mondo esiste la possibilità di una “modernità felice” senza democrazia politica. Anzi: felice proprio perché si è liberata della “democrazia politica”.