Si è ucciso tagliandosi la giugulare, morendo dissanguato lentamente. Si chiamava Carmelo Mortari, 58enne, recluso al reparto G9 del carcere di Rebibbia e si è suicidato tra la notte di sabato e domenica. L’uomo era un detenuto comune, entrato in carcere nel 2008, sarebbe uscire nel 2021 e aveva maturato più di 600 giorni di liberazione anticipata. La notizia è trapelata soltanto ieri grazie a una lettera di un detenuto del carcere di Rebibbia giunta a Rita Bernardini, l’esponente del Partito Radicale. L’autore della lettera, avendo ascoltato in precedenza il programma radiofonico Radio Carcere che si è occupato dei suicidi in carcere, ha fatto presente che un altro detenuto si è ammazzato senza che alcuno ne parlasse. Non con la classica impiccagione, ma con un gesto ancora più drammatico: si è tagliato la gola fino a morire dissanguato. Una modalità che solleva qualche dubbio e che sarà analizzata nel corso delle indagini per stabilire la dinamica che ha portato alla morte di Carmelo Mortari. La situazione nelle carceri è oramai sempre più insostenibile. Ad oggi siamo arrivati a 15 suicidi dall’inizio dell’anno, per un totale di 30 decessi.

Febbraio poi è il mese nero per quanto riguarda i penitenziari romani. La settimana scorsa un uomo di 30 anni, di origine bosniaca, detenuto per tentato omicidio, si era impiccato utilizzando un lenzuolo legato alla grata del bagno. Qualche giorno prima aveva appreso della morte di sua figlia di un anno. Il suicidio era avvenuto nella stessa sezione nella quale era già morto, il 23 febbraio, un ragazzo di 22 anni con problemi psichici e detenuto in carcere nonostante il suo posto fosse la Rems. Si tratta della seconda sezione, «è un’area che contiene 170 detenuti con un solo agente a vigilare interventi», aveva reso noto il sindacato della polizia penitenziaria Fns Cisl Lazio.

La mattanza all’interno delle carceri italiane continua e, se non fosse per i salvataggi in extremis da parte della polizia penitenziaria, le morti sarebbero molte di più. Nel 2016 il triste elenco è arrivato a 39 detenuti che si sono tolti la vita dietro le sbarre e ben 120 morti per malattia. Nel 2015 sono stati 43 i suicidi nelle carceri italiani e 123 i morti. «Se verrà confermato questo trend - spiega Rita Bernardini al Dubbio -, il 2017 potrebbe subire un record di suicidi e degrado carcerario quasi al livello che fece scattare la sentenza Torreggiani». In carcere si trovano sempre di più casi psichiatrici dove si fa un uso smodato di psicofarmaci e ansiolitici. Farmaci che vengono somministrati a chiunque palesa un malessere. «C’è bisogno di pene alternative - spiega sempre la radicale Bernardini -, condizioni vivibili, attività trattamentali che impegnino il detenuto durante la sua permanenza in carcere». Vivere da reclusi è già una punizione. La doppia punizione è incostituzionale. Il non fare nulla, essere privi di stimoli, rimanere isolati, acuisce la sofferenza e depressione.

Il ministro Orlando, a maggio dell’anno scorso, aveva emanato una circolare al Dap per affrontare la delica- ta problematica dei suicidi e dei tentati suicidi in carcere. In particolare, il Guardasigilli aveva ritenuto necessario attuare un Piano nazionale d’intervento per la prevenzione del suicidio e per il conseguente monitoraggio delle strategie adottate, attraverso la raccolta, l’elaborazione e la pubblicazione dei dati sul fenomeno e sulle esperienze condotte. «Ma non basta una circolare – denuncia Bernadini -, c’è bisogno assolutamente di attuare ciò che è stato elaborato dai lavori degli Stati Generali sull’Esecuzione Penale». Anche per denunciare tutti questi problemi e proporre i rimedi, domenica 16 aprile, dal carcere di Regina Coeli a piazza San Pietro, il Partito Radicale e un’intera galassia di organizzazioni daranno vita alla Marcia per l’amnistia 2017. La nuova mobilitazione, dichiarano gli organizzatori, vuole ribadire la necessità di un’amnistia «perché le istituzioni italiane escano dalla condizio- ne criminale in cui si trovano rispetto alla nostra Costituzione, alla giurisdizione europea, ai diritti umani universalmente riconosciuti e alla coscienza civile del Paese».