L’originale idea che il presidente dell’Eurogruppo ha della Ue a due velocità - Nord sobrio; Sud che getta i soldi «in alcol e donne» - ha provocato un putiferio di polemiche e richieste di dimissioni. Giustificate? Il Sud d’Europa «alcol e donne» Ma la faglia sono i bilanci

Le parole del presidente del consesso che raggruppa i ministri delle Finanze della Ue, l’olandese Jeroen Dijsselbloem, sono piovute nel momento meno opportuno, quello in cui si celebrano i 60 anni dei Trattati. Da un lato, dunque, il pressing sottoscritto per primo dal presidente italiano Sergio Mattarella per uno sforzo ancor più unitario del Vecchio Continente; dall’altro i giudizi «da bar sport», come li ha apostrofati Matteo Renzi, sul fossato spendereccio che solca l’Europa come una cicatrice: iato devastante.

Certo, l’ironia è l’arma migliore per uccidere e dunque si può ed è più che giustificato farlo impugnare il bazooka del sarcasmo per replicare ai giudizi di Dijsselbloem, a partire dalla considerazione che le attività citate dal presidente dell’Eurogruppo sicuramente trovano estimatori e praticanti in gran quantità, sia livello di massa come di establishment, anche al sopra delle Alpi. E’ quello che ha fatto, con la puntuta soavità che lo contraddistingue, Romano Prodi: «Dijsselbloem? Nelle sue parole ho percepito un grande senso di invidia...» . Ma, appunto, ironia e sarcasmo vanno bene per strappare sogghigni. Poi c’è la sostanza: per quella servono riflessione e raziocinio.

Ciò che colpisce è che le reazioni, particolarmente italiane, alle parole di Dijsselbloem sono talmente inviperite da autorizzare il sospetto che celino qualcosa di più profondo e assai meno burlesco. Che insomma la querelle riguardi il braccio di ferro tra due opposte visioni del cammino europeo; una divaricazione che taglia in due la famiglia del Pse affondando nelle sue contraddizioni come come un coltello nel burro. Il presidente dell’Eurogruppo, infatti, puntualizza che le sue affermazioni volevano ricordare che «la solidarietà va di pari passo con la responsabilità e il mantenimento degli impegni. Come socialdemocratico dò molta importanza alla solidarietà. Se si vuole mantenere sostengo politico dell’opinione pubblica nella Ue in favore della solidarietà, occorre sempre parlare di quali impegni e quali sforzi devono essere fatti da ciascuno». A questo, Matteo Renzi ha replicato che se Dijsselbloem «vuole offendere l’Italia, lo faccia al bar sport sotto casa sua, non nel suo ruolo istituzionale. Spero che la nostra proposta di fare le primarie per i compiti di responsabilità in Europa sia accolta e rilanciata. In Olanda i socialisti sono passati dal 25 al 5 per cento: il che la dice lunga sul fatto che è giusto combattere i populisti ma bisogna farlo senza smettere di essere popolari». Chi ha ragione?

Le frasi del ministro delle Finanze olandese sono inaccettabili ma svilire la sostanza del suo ragionamento è fuorviante. Come pure è ingenuo pensare che Renzi si prenda la briga di replicare in modo così ulcerato solo per la voglia di rintuzzare battute di cattivo gusto.

E’ difficile che non venga alla mente il dissidio che oppone i fautori dell’austerità ( leggi: cordoni finanziari ben stretti) con quelli che chiedono a Bruxelles uno sforzo per la crescita ( leggi: meno austerity e cordoni più larghi). Due blocchi di Paesi che, curiosamente, assomigliano come due gocce d’acqua alla spartizione espressa dal leader dell’Eurogruppo.

Proviamo a mettere da parte ipocrisie e velleitarismi. E’ evidente che l’Europa - che come ha spiegato Mattarella al momento appare assai al di sotto dei suoi compiti - non solo non potrà rinnovarsi ma addirittura non potrà proseguire di un solo centimetro se i paradigmi del confronto rimarranno costretti in stereotipi e dileggiamenti. Come è altrettanto evidente che fino a quando i termini concreti del dibattito non verranno messi con chiarezza sul tappeto chiamando i cittadini dei vari Stati a esprimersi e i relativi governi ad assumersi le responsabilità che spettano loro, non ci sarà alcun passo avanti ma solo un mare di fuffa. Risultato che alla fine farà solo il gioco degli antieuropei. Più esplicitamente: se un nucleo di Stati gioca all’Europa delle piccole Patrie, club esclusivo dove gli ideali contano zero e le Borse mille, la Ue si disintegrerà. E lo stesso accadrà se leader e capi di governo vari riterranno la solidità dei bilanci un tema da ragionieri e non da statisti.

Forse bisogna ritornare a Mattarella, e a quella standing ovation che ha accompagnato a Montecitorio il discorso del presidente della Repubblica italiano. «L’Europa è ripiegata, serve coraggio», è stato il monito del capo dello Stato. A qualcuno può essere venuto in mente don Abbondio: se il coraggio non ce l’hai, eccetera eccetera. A qualcun altro che o il medesimo coraggio va di pari passo alla lungimiranza, alla difesa non dei singoli interessi bensì di quelli comunitari, oppure il battibecco tra euroburocrati e leader politici nazionali prevarrà e sarà altrettanto veleno sulle radici del sogno di Spinelli, De Gasperi, Schumann.