Piercamillo Davigo non si allarma: «Il consenso nei nostri confronti è cresciuto, dopo anni di campagna martellante contro la magistratura dovrebbe essere a zero». Eppure il sondaggio di Swg pubblicato ieri dal Corriere della Sera fa impressione: il 51 per cento degli italiani ha poca o nessuna fiducia nei giudici.

Un quadro pesante, lontano anni luce dall’entusiasmo ai limiti dell’idolatria dell’epoca di Mani pulite. Ma forse non c’è solo una difesa d’ufficio, nell’aplomb con cui il presidente Anm reagisce alla notizia. Di una certa crisi nel rapporto tra toghe e opinione pubblica Davigo dev’essere consapevole da un po’. E forse il successo della sua corrente si spiega anche con la percezione diffusa tra gli stessi magistrati che un certo clima non tornerà più.

Sono gli effetti del processo mediatico e, sul piano generale, della crisi di fiducia nelle istituzioni, nessuna esclusa. Gli italiani non scommettono più sulla politica, anzi la considerano una partita persa, ma neppure sugli altri pilastri dell’architettura dello Stato. Ogni figura che eserciti un potere è messa in discussione, e, rispetto alla magistratura, vuol dire non credere alle sentenze, all’efficacia dei provvedimenti, alla severità delle punizioni. Basta un’ordinanza prudente nei confronti di un indagato e un gip rischia il linciaggio.

Ci si è arrivati vicino, per esempio, con la vicenda di Gessica Notaro, la 29enne di Rimini sfigurata con l’acido da un ex fidanzato per il quale la Procura aveva chiesto l’arresto e che il giudice si era limitato a inibire dall’avvicinarsi alla donna. In diversi titoli di giornale quel magistrato è passato quasi per correo. Se l’ossessiva ricerca del colpevole raggiunge i parossismi indotti della giustizia spettacolo, anche il giudice finisce per essere sempre al di sotto delle aspettative.

La dinamica, a molti magistrati, non sfugge. È anche per questo che tanti di loro alle ultime elezioni dell’Anm hanno votato proprio per Davigo. Vedono in lui un paladino dello status e delle prerogative dell’ordine giudiziario, capace di sfidare la politica con toni ta il sarcastico e lo sprezzante. È una forma di antipolitica che esorcizza l’inquietudine per la sfiducia nelle toghe.

Alla prima apparizione il gruppo dell’ex pm di Mani pulite, Autonomia & Indipendenza, ha raccolto 1200 preferenze su 7000 giudici elettori. Il clima spiega dunque la risposta di Davigo al sondaggio di Swg, commissionato da “Fino a prova contraria”, l’associazione di Annalisa Chirico: il presidente Anm conosce benissimo la situazione, non aveva bisogno degli ultimi dati. «Siamo passati dal 36 al 44% negli ultimi due anni». Sa che si tratta di numeri raggelanti. Ma lui stesso spiega: appunto, che «dovremmo avere un consenso pari a zero».

E se la prende con la «campagna martellante» anti- giudici di certa politica. Un’analisi di parte, ma Davigo non nega la realtà: sa che il suo successo ne è diretta conseguenza. «Chi vince una causa pensa che aveva ragione, chi l’ha persa ritiene il giudice malvagio: perciò sono sorpreso del fatto che abbiamo questo consenso». Ma nel ’ 92 certe alterazioni soggettive non esistevano. «È vero, se ci si riferisce al ’ 92 le nostre quotazioni sono scese», ammette con i cronisti che lo interpellano a Cagliari, dov’è chiamato a tenere una lectio magistralis.

Che poi, nel suo anelito giustizialista, l’opinione pubblica sia confusa lo dicono altri dati dell’Swg: il fatto per esempio che un italiano su due sia contrario alla pubblicazione delle intercettazioni, nonostante il seguito emorme dei programmi tv che le fanno addirittura interpretare a degli attori. D’altra parte la distanza nei confronti del potere, compreso quello giudiziario, è chiarissima se è vero che due terzi degli italiani «non credono nella giustizia» e se il 69% ritiene che «settori della magistratura perseguano fini politici». Fino a quel 72% che giudica «inopportuno che un magistrato si candidi». È vero che molti giudici, come Davigo, hanno fiutato il vento, ma anche a loro certi numeri faranno impressione.