Attenzione. Poiché la politica è generalmente considerata noiosa, questo è un articolo che vira sulla pura e totale fantapolitica. Col vantaggio che, se risulta noioso lo stesso, almeno si sa con chi prendersela.

Dunque. Planata cinematografica sulla Capitale; volo d’uccello sui Palazzi della politica; zoomata sul più importante di tutti: il Quirinale. Nel suo studio, Sergio Mattarella si concede un momento di relax e guarda fuori dalla finestra.

La vista è incantevole, il sole di metà marzo consuma i freddi invernali, intiepidisce gli storici Colli e quello più alto di tutti in particolare, i giardini della residenza si trasfigurano in un sito fatato, fuori dal tempo. Per uno di quegli scherzi della memoria all’apparenza senza un perché, il pensiero del Presidente va al luglio del 1983, quando le vicissitudini politiche lo portarono al ministero dell’Istruzione. Bei tempi. Purissima Prima repubblica; Dc in gran spolvero; Berlinguer in difesa; Craxi decisionista. A proposito: ma chi ha scritto che Renzi assomiglia nei modi e nel carattere al leader socialista? Un sorriso gli increspa appena le labbra: assurdo. La mente di Mattarella vaga ma il pensiero resta lì, sovrapposto ai ricordi, mente lo schermo tv rimanda le immagini del Lingotto. Torino? No, che c’entra. Renzi è Firenze, binomio obbligato. Firenze, la poesia, il dolce Stil novo. Dante.

Ecco, è un flash appena. Un’associazione repentina che si impone. Il capo dello Stato prende carta e penna e comincia a scrivere...

Matteo vorrei che tu, Silvio ed io fossimo presi per incantamento e vivendo sempre in un talento, di stare insieme crescesse ’ l disio... Come dire, parafrasando: avendo gli stessi desideri, crescesse il desiderio di stare assieme. Per fare cosa?

Domanda peregrina oltre che inopportunamente prosaica. Cosa c’è da fare prima di andare alle tanto sospirate elezioni? Una cosa, soprattutto: la legge elettorale. Non è roba da verseggiatori, è vero: neppure se sommi. Però l’idea di scrivere qualcosa non è sbagliata. Il capo dello Stato rimugina; il tempo stringe, hanno già bussato alla porta e la spia del telefono lampeggia. Ottocento anni fa ci si rimpallava sonetti; nel Terzo Millennio ci sono i messaggi. No, non gli sms. I messaggi veri e propri, scritti e protocollati, previsti dalla Costituzione, che il numero uno della Repubblica invia alla Camere perché smettano di baloccarsi e si concentrino sulle priorità.

Già, perchè non farlo? Il sorriso di Mattarella stavolta si allarga: basta con la moral suasion, a brigante brigante e mezzo, come diceva un suo sanguigno precedessore. Un messaggio ufficiale al Parlamento, usando volteggi e perifrasi istituzionalmente inappuntabili. Ma il cui senso politico è secco. E dà l’affondo: cari signori, ho provato a dirvelo con le buone, sussurrando, e non mi avete dato retta. Anzi, vi siete girati per motteggiare alle mie spalle. Allora adesso ve lo spiattello più chiaramente: la legge elettorale la dovete fare, via piaccia o no è un obbligo al quale non consentirò possiate sottrarvi. E badate bene: non un ritocchino qua e là per farmi contento come si fa con i nonni.

Quel che ormai è indispensabile è un meccanismo strutturale e intimamente coeso che aiuti ad evitare un vero e proprio dramma per il Paese: il buco nero dell’ingovernabilità. Non ce la possiamo permettere, perchè se a urne chiuse ci si ritrova nell’impasse più assoluta, con nessuna maggioranza prima ancora che politicamente addirittura numericamente impossibile, demagogia e populismo - e le forze politiche che li interpretano - ne ricaverebbero una formidabile spinta. Senza considerare che a quel punto la speculazione internazionale potrebbe ripartire coinvolgendo le principali corbeilles. Il debito italiano è enorme, i mercati non hanno pietà, guai a dimenticarlo: se vedono la preda in difficoltà non la soccorrono, piuttosto la azzannanano al collo.

E poi ci sono io. Sì proprio io. Perchè se voi - Matteo, Silvio e mettiamoci pure Beppe assieme ad Angelino - giocate, io sono obbligato a trovare il bandolo della matassa. Passata la notte elettorale, sono obbligato a dare l’incarico per formare un governo; sono obbligato a trovare una soluzione anche di fronte allo stallo, all’immobilismo, alla palude. E se neppure i numeri mi soccorrono, dove la trovo la via d’uscita? Per cui vi sollecito, per iscritto, a fare il vostro dovere. A mettere cioè nero su bianco la riforma elettorale e portarla all’approvazione caricandovene per intero sulle spalle il peso, anche a costo di provare di nuovo a cambiare la Costituzione perchè se l’elezione del Senato resta su base regionale, lo spettro dell’ingovernabilità stagnerà inevitabilmente. Smettiamola con il gioco delle convenienze che si rivestono di menzogne. Senza legge elettorale, che si porta appresso il tema decisivo delle possibili alleanze, i pericoli di default crescono. Fino al punto...

Alt, il tempo riprende a correre. Stavolta la bussata alla porta si intensifica, le lucette del telefono che corrispondono ai collaboratori più stretti: Zampetti, Guerrini, Grasso, sono vicine al tilt. Mattarella abbandona lo sguardo trasognato per indossare quello istituzionale che tanto gli si confà. Restano lì, sotto gli occhi, quelle poche righe scritte per gioco sul foglietto; quel poetare rivolto a Matteo e Silvio, compagni di strada che il destino ha voluto affiancargli. E soprattutto quella voglia di messaggiare: lontanissima dagli emotikon dei Social e invece, benché negletta e irrisa, vicinissima alle necessità concrete del Paese.

La fantapolitica è esaurita. Adesso la parola passa alla politica: noiosa forse; insostituibile di sicuro.