La gestione dei detenuti psichiatrici all’interno della casa circondariale di Reggio Emilia è insostenibile e il dramma colpisce anche gli agenti penitenziari che si trovano costretti ad operare oltre il proprio turno di lavoro. La struttura di Reggio Emilia è stata una dei primi ospedali giudiziari psichiatrici a chiudere. L’imponente edificio era nato nel ‘ 600 come convento dei Padri della Missione, poi fu convertito in carcere correzionale nel 1796. Dopodiché, nel 1869, venne trasformato in Opg. Fino ad arrivare al 2016 quando fu di nuovo riconvertito in istituto di pena. Tutti gli internati psichiatrici sono stati trasferiti nelle Rems, ma, ironia della sorte, tanti detenuti con patologie psichiatriche sono stati internati grazie alla realizzazione di un nuovo padiglione dell’ex Opg adibito alla tutela della salute mentale. Il problema è che a gestirlo non sono gli operatori sanitari, ma gli agenti penitenziari. Un disagio che sia il direttore Paolo Madonna che la comandante di reparto Manon Giannelli, hanno rappresentato alla delegazione del Partito Radicale in visita. Grazie al questionario dei radicali che Il Dubbio ha potuto visionare, i numeri parlano chiaro: su 351 detenuti presenti, 153 sono affetti di patologie psichiatriche. Cinquanta di loro sono sotto osservazione al nuovo reparto dell’ex Opg e a operare c’è un solo psichiatra che effettua un monitoraggio una volta a settimana. Il resto del lavoro compete agli agenti penitenziari mentre, in realtà, nell’articolazione per la tutela della salute mentale dovrebbe operare il personale sanitario specializzato per la cura. Una situazione che ogni giorno diventa sempre più insostenibile sia per il personale che per i detenuti stessi. Non a caso, dal questionario si evince anche che c’è un crescendo di casi autolesionistici. Basti pensare che nel 2015, 70 detenuti hanno prodotto atti di autolesionismo, per poi arrivare nel 2016 a ben 137 casi. Più del doppio.

Il caso di Reggio Emilia si aggancia al dibattito di questi giorni sulla riforma dell’ordinamento penitenziario. Due sono le scuole di pensiero che a colpi di emendamento vanno a scontrarsi. Da una parte c’è la senatrice Maria Mussini che proprio per evitare questo disagio, con due emendamenti, chiede di destinare alle Rems, in via prioritaria, le persone a cui è stata accertata l’infermità al momento della commissione del fatto e già prosciolte, e di estendere l’accesso ad altre “categorie giuridiche psichiatriche”, laddove le sezioni degli istituti penitenziari non siano in grado di garantire loro i trattamenti terapeutici necessari. Sempre la senatrice Mussini ha presentato un ulteriore emendamento in cui si chiede «un impegno al potenziamento della cura della salute mentale in tutti gli istituti penitenziari». Dall’altra c’è la senatrice del Pd Emilia De Basi che con un emendamento chiede espressamente di «destinare alle residenze di esecuzione delle misure di sicurezza ( Rems) le sole persone per le quali sia stato accertato in via definitiva lo stato di infermità al momento della commissione del fatto da cui derivi il giudizio di pericolosità sociale e il conseguente bisogno di cure psichiatriche» e quindi l’esclusione dell’accesso alle Rems «dei soggetti per i quali l’infermità di mente sia sopravvenuta durante l’esecuzione della pena, degli imputati sottoposti a misure di sicurezza provvisoria e di tutti coloro per i quali ancora occorra accertare le relative condizioni psichiche». La senatrice De Basi, sempre nell’emendamento, chiede comunque «garanzia dell’effettiva idoneità delle sezioni degli istituti penitenziari ad assicurare i trattamenti terapeutici e riabilitativi».

Nel frattempo il dramma rimane. Il superamento degli Opg e la loro sostituzione con le Rems è stato un grande traguardo. Però rimane il problema della salute mentale in carcere. Sparsi nelle patrie galere ci sono centinaia di detenuti con problemi psichiatrici. Solamente nella regione Calabria risultano ristrette 600 persone afflitte da tali patologie, senza un trattamento adeguato alle loro condizioni. E a farne le spese – oltre ai detenuti stessi che non vengono seguiti dai medici e operatori sanitari – sono i poliziotti penitenziari che fanno servizio nei reparti detentivi. Nelle carceri “normali” permangono molti ristretti con patologie mentali per i quali non sarà prevista alcuna struttura alternativa. Non solo. La legge per la chiusura degli Opg contiene una norma che prevede che alcuni detenuti finiscano la pena detentiva in carcere. Grazie a uno studio recente condotto dall’agenzia regionale di Sanità della Toscana, si è scoperto un dato che desta preoccupazione: sui circa 16mila reclusi delle carceri di Toscana, Veneto, Lazio, Liguria, Umbria, ben oltre il 40% è risultato affetto da almeno una patologia psichiatrica. Questi detenuti costituiscono una miscela esplosiva in un contesto di detenzione degradante. Esiste un forte disagio perché si realizza una tortura ambientale: il carcere continua ad essere la frontiera ultima della disperazione e dei drammi umani. L’emergenza psichiatrica nelle carceri potrebbe esplodere da un momento all’altro se non si predispongono misure adeguate. Il carcere di Reggio Emilia potrebbe essere i primo.