Igiudici costituzionali si sono sottratti alle aspettative della classe politica. Quest’ultima avrebbe apprezzato un verdetto che le togliesse le castagne dal fuoco. E invece la Consulta si è limitata a fare il suo mestiere, rimandando nel campo della politica quello che alla politica appartiene. Scegliere. Ha ragione Amato: la Consulta non ha seppellito il maggioritario

Mentre Matteo Renzi evoca la remuntada historica, aprendo la kermesse del Lingotto, gli osservatori di cose politiche si lanciano nell’esegesi del pensiero di Giuliano Amato. Il quale, intervenendo alla New York University, ricorda che la sentenza della Corte Costituzionale sull’Italicum non ha escluso la possibilità di introdurre «qualche elemento maggioritario» nella legge elettorale.

Ce n’è abbastanza per scatenare tutte le congetture del caso, ed alimentare le curiosità dei retroscenisti su possibili colpi di scena in materia istituzionale.

Se non fossimo in una situazione in cui la confusione mentale della politica ha ormai raggiunto vette sconosciute, ci sarebbe solo da farci una risata sopra. Perché basta aver letto la sentenza della Consul- ta per sapere che l’affermazione di Amato è tutt’altro che uno scoop. E anzi, cedendo alla provocazione, forse non ci sarebbe stato nemmeno bisogno di leggerla per giungere a una simile conclusione. E’ dal 1992 che la Corte Costituzionale ha escluso che la nostra Carta abbia costituzionalizzato il proporzionale. E quindici anni di Mattarellum stanno lì a dimostrarlo.

La verità è che i giudici costituzionali, e le parole di Amato lo confermano, si sono saggiamente sottratti alle aspettative della classe politica. Quest’ultima avrebbe apprezzato moltissimo un verdetto che le togliesse le castagne dal fuoco.

E, invece, la Consulta si è limitata a fare il suo mestiere, rimandando nel campo della politica quello che alla politica appartiene. Scegliere.

Non solo, quindi, non si è pronunciata sull’ipotesi di soluzioni diverse dall’Italicum ( proprozionale senza premio, proporzionale corretto, uninominale maggioritario a un turno o due), ma ha detto chiaramente che il suo giudizio era strettamente legato alla “logica” insita nella legge elettorale sottoposta all’esame. Quella di essere una legge proporzionale, sulla quale si è innestato un premio maggioritario. Il problema della Corte è stato cioè quello di valutare la “ragionevolezza” intrinseca di questo monstrum ( praticamente unico al mondo). In poche parole la Corte ha detto al legislatore: «Se prometti agli elettori il proporzionale, poi non puoi distorcerlo con un premio eccessivo che finisca per snaturarlo».

La Corte ha, del resto, identificato un equilibrio costituzionalmente legittimo. Se si resta su quell’impianto proporzionale con premio, modificare quell’equilibrio può essere molto rischioso.

Anche perché le Camere non possono correre il rischio di varare la terza legge elettorale incostituzionale consecutiva.

Paradossalmente ci sarebbe più margine di manovra se si abbandonasse quello schema. Ma il Parlamento sembra politicamente troppo debole per tornare al sistema maggioritario.

Per questo alla fine si voterà con i due “Consultelli”, magari con qualche piccolo maquillage per salvare la faccia di una classe politica impotente. Sempre che quel maggioritario, oggi inarrivabile per il Parlamento, non rientri dalla finestra del voto popolare che - contro ogni previsione - assegni, alle prossime elezioni, il quaranta per cento a qualcuno, sbarazzandosi delle comode velleità veteroparlamentari di chi rimpiange i governicchi della Prima Repubblica.

Impossibile, si dirà. Sì, impossibile. Lo diceva anche il mondo intero prima della Brexit e prima di Trump. A volte, però, l’impossibile si materializza. Perché, nella storia, i casi di scuola non esistono.