Si tratta di un sistema penitenziario e giudiziario parallelo. Ha le sue carceri, la sua amministrazione penitenziaria, i suoi tribunali, magistrati e Consiglio superiore della magistratura annesso. Ad occuparsi di tutta l’organizzazione non è però il ministro della Giustizia ma quello della Difesa. Parliamo della giustizia militare in tempo di pace, che da molti anni attende di essere riformata. Correva l’anno 2013 quando l’allora ministro della Difesa Mario Mauro si impegnava di fonte all’apposita commissione della Camera a mettere mano alla giustizia militare, organo a parte della magistratura italiana con un’attività di lavoro irrisoria e impossibile da scalfire, ma con un peso non indifferente sui conti dello Stato.

Parliamo di un totale di 58 magistrati, tra giudicanti e inquirenti, con uno stipendio medio di 150mila euro, che in totale ci costano 20 milioni di euro all’anno. Hanno un loro organo di autocontrollo, il Consiglio della magistratura militare ( Cmm) equivalente del Consiglio superiore della magistratura ( Csm). Il Cmm è, infatti, competente a deliberare su ogni provvedimento di stato riguardante i magistrati militari e su ogni altra materia ad esso devoluta dalla legge.

In particolare, delibera sulle assunzioni della magistratura militare, sull’assegnazione di sedi e di funzioni, su trasferimenti, promozioni, sanzioni disciplinari, conferimento ai magistrati militari di incarichi extragiudiziari. Esprime pareri e può fare proposte al ministro della Difesa sulle circoscrizioni giudiziarie militari e su tutte le materie riguardanti l’organizzazione o il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia militare.

Dà pareri su disegni di legge concernenti i problemi del settore giudiziario. Sulle materie di competenza del Consiglio, il ministro della Difesa può avanzare proposte e osservazioni e può intervenire alle adunanze del Consiglio, quando ne è richiesto dal presidente o quando lo ritenga opportuno, per fare comunicazioni o per dare chiarimenti.

Il ministro, tuttavia, non può essere presente alle deliberazioni. Fanno parte del Consiglio - che dura in carica 4 anni - il primo della Corte di Cassazione, che lo presiede; il procuratore generale militare presso la Corte di Cassazione; quattro componenti eletti dai magistrati militari - di cui almeno uno magistrato militare di Cassazione -, un componente estraneo alla magistratura militare, scelto d’intesa tra i Presidenti delle due Camere fra professori ordinari di università in materie giuridiche ed avvocati con almeno quindici anni di esercizio professionale, che assume le funzioni di vicepresidente.

LA RIFORMA INVOCATA DAL VICEPRESIDENTE

Ed è proprio l’attuale vicepresidente Antonio Scaglione che, durante un intervento per l’inaugurazione dell’anno giudiziario presso l’assemblea generale della Corte militare d’Appello, si è soffermato sul tema della riforma della giustizia militare “annunciata”, ma, purtroppo, non ancora realizzata. Ha ricordato che l’anno precedente si era soffermato sulle due prospettive di riforma che allora erano e che sono tuttora all’esame del Parlamento: la prima nel senso della abolizione della giurisdizione “speciale” militare e della sua confluenza, per il tempo di pace, nell’alveo più generale della giurisdizione ordinaria, sia pure nella forma delle sezioni specializzate; la seconda, invece, nel senso della ulteriore riduzione degli attuali organi giudiziari militari, dopo quella già attuata dalla legge 24 dicembre 2007; riduzione ancora una volta motivata con l’argomento dell’austerità e del contenimento della spesa pubblica in un contesto di perdurante crisi economica.

C’è chi dice serva una legge costituzionale per riformare la categoria, per unificarla magari a quella civile, ma il governo Renzi si era addirittura impegnato fin da subito a eliminarla. L’allora ministra Roberta Pinotti, che ha preso il posto di Mauro a febbraio 2014, aveva proseguito gli obiettivi di inizio legislatura, tanto da inserire il tema persino nel ‘’ Libro bianco’’, il testo unico sulla sicurezza internazionale e la difesa.

Così a pagina 58 aveva scritto: «Per quanto attiene alla amministrazione della giustizia militare il Governo intende perseguire lo sforzo di efficienza del sistema e di razionalizzazione, studiando anche la possibilità di forme idealmente evolute basate sul principio di unità della giurisdizione penale e che prevedano di dotarsi in tempo di pace di organi specializzati nella materia penale militare incardinati nel sistema della giustizia ordinaria».

Ma tutto si è fermato. A ricordare a quale punto si trovi l’iter della riforma, recentemente è stato il deputato del Pd Daniele Marantelli. Tramite un’interpellanza aveva chiesto «a quale stadio si trovi il progetto di riforma della giustizia militare, di sapere se è confermato l’intento di costituire un gruppo di lavoro sul tema presso il ministero della Difesa e di valutare, nell’ambito di tale riflessione e alla luce della già citata pochezza numerica e qualitativa del contenzioso trattato, la soppressione del sistema giudiziario militare e la sua integrazione nel sistema giudiziario ordinario».

CARICO DI LAVORO INSIGNIFICANTE

I dati statistici sull’operato dei tribunali militari risultano talmente insignificanti che se venissero valutati secondo i parametri del ministero della Giustizia, i conti salterebbero. Sì, perpresidente ché secondo Via Arenula si calcola che ogni tribunale debba coprire un bacino di utenza di 382.191 cittadini: la giustizia militare invece può contare su tre tribunali, a Verona, Roma, Napoli, e giudica su un totale di 310mila persone.

IL CARCERE MODELLO DEI MILITARI

Come ogni sistema penitenziario si rispetti, anche quello militare ha il suo Dap. Però si chiama diversamente: Opm e sta per Organizzazione Penitenziaria Militare. Unica realtà del genere nel contesto nazionale ed europeo, è inquadrata nell’organizzazione di Vertice delle Forze Armate e si occupa della gestione del trattamento penitenziario dei detenuti ristretti presso gli istituti di pena militari a capo degli istituti di pena militare.

Oggi ne esiste solo uno di istituto di pena militare e si trova in Santa Maria Capua Vetere, provincia di Caserta. Fino al 2005 esistevano diverse carceri militari. Si trovavano a Gaeta, Pescheria del Garda, Forte Boccea, Cagliari, Sora, Palermo, Bari, Torino e Pizzighettone. A dispetto di tutti gli altri istituti penitenziari ordinari, quello militare risulta un carcere modello e ha un numero esiguo di ristretti. Molto al di sotto della capienza regolamentare.

I detenuti sono pochi perché le sentenze sono diminuite grazie all’abolizione, dal 2005, della leva obbligatoria nell’esercito, che ha drasticamente abbattuto i reati militari un tempo più diffusi, dalla diserzione alla mancanza alla chiamata. Il carcere militare può essere posto ad esempio: ha un elevatissimo standard delle condizioni di detenzione, è una struttura considerata di assoluta eccellenza dal punto di vista delle condizioni sanitarie, infrastrutturali e per l’elevato livello tecnologico.

Di detenuti militari ce ne sono pochi, paradossalmente la maggior parte sono poliziotti e carabinieri. Parliamo di un carcere dove non esiste un clima di distacco che solitamente avviene nei penitenziari italiani “civili”: pur nel rispetto dei ruoli, il comandante fa anche da padre, consigliere, a volte amico. Si lavora, esiste la possibilità di coltivare, partecipare a laboratori di cucina e falegnameria. La riabilitazione funziona. Più volte si è detto di sopprimerlo, ma forse, viste le gravi criticità degli istituti penitenziari, bisognerebbe estenderlo e replicarlo anche ai “civili”.