Da una settimana un solo nome riesce a riportare l’ombra del sorriso sulle facce tirate dei renziani, tanto gli ufficiali quanto i semplici fans. Lo stesso nome viene pronunciato ora come invito a massima prudenza, più spesso come speranzosa invocazione: John Henry Woodcock. «E’ una garanzia», si lascia sfuggire qualcuno, intendendo che quando l’inchiesta è in mano all’anglo- italiano si può scommettere sul flop.

Non è malevolenza, il pregiudizio acidulo stavolta non c’azzecca. E’ che il sostituto procuratore di Napoli dal capello al vento colleziona flop ancor più delle adorate motociclette. Fossero inchiestucce di ordinaria amministrazione magari nessuno se ne accorgerebbe. Invece se il sospettato di turno non spopola sulle copertine, Woodcock neppure lo degna di un avviso di garanzia di quelli che non si negano a nessuno. Capita così che il clamore delle inchieste renda fragorosi i loro spompati esiti.

I maligni spiegano la tendenza ai casi da prima pagina con un certo imprudente esibizionismo dell’uomo. I solidali giustificano invece con una foga moralizzatrice degna di Savonarola, che preferisce appuntarsi sui solitamente impuniti pezzi grossi invece che sui poveracci indifesi.

Qualcuno si affida ai meandri della psiche: vedi mai che quel nomignolo appioppatogli da piccolo sui campetti di calcio, ' Chiattòvamporta', qualcosa sul tipo «Ciccione stai in porta», si sia trascinato dietro una certa ansia di rivalsa... Non è escluso che i più benevoli ci piglino.

Woodcock, classe 1967, padre inglese, madre napoletana, nato a Livorno dove daddy insegnava all’Accademia ma cresciuto sotto il Vesuvio, sembra davvero uno che ce la mette tutta. Inizia a darci dentro alle 7 di mattina e non schioda fino a tarda sera, senza perdere tempo nemmeno di domenica. Vanta una faccia simpatica e cordiale, che non richiama i tratti scostanti del forcaiolo per vocazione. Solo che sapere se Johnny dia la caccia alla fama oppure ai pezzi da novanta incide poco. I risultati restano comunque desolanti.

Eppure, il sostituto era partito col piede giusto. In toga dal 1996 e tre anni dopo in forze alla procura di Potenza aveva esordito con un paio di inchieste azzeccate, tanto da anticipare uno scoop delle “Iene” su un traffico di patenti facili a Potenza. Nel 2002 il primo colpo grosso: un’inchiesta su tangenti Inail che coinvolge un po’ bel di nomi importanti, tra cui i deputati Angelo Sanza ( Fi) e Antonio Luongo ( Ds) nonché il generale dei Carabinieri Stefano Orlando, responsabile della sicurezza di Cossiga. L’ex presidente riprende il piccone e va giù pesantissimo, suggerendo alla sostituta che lavora con John Henry, Gerardina Romaniello, una più fortunata carriera come presentatrice tv.

L’inchiesta però almeno in parte regge. Il tribunale del riesame in realtà scarcera subito 6 imputati su 20, tra cui Orlando, e al processo molti degli inquisiti risulteranno innocenti, ma bene o male l’impianto tiene. Galvanizzato, l’anglo- napoletano sperimenta per la prima volta in grande stile il suo metodo, consistente del partire dal filone di un’inchiesta per poi allargare a volontà.

E l’Inail si allarga peggio della rana della favola, fino a coinvolgere ben 78 personaggi celeberrimi: il futuro presidente del Senato Franco Marini, il segretario di D’Alema e oggi senatore Nicola Latorre, il diplomatico di serie A Umberto Vattani, il fratello del ministro Antonio Marzano, Ernesto, Gasparri e Storace, Tony Renis, la giornalista Rai Anna La Rosa. Botti da capodanno partenopeo. Ma con la polvere annacquata. Il Tribunale di Roma archivia.

Woodcock non demorde. Nel 2004 la nuova inchiesta shock, detta "Iene- 2", prende di mira i presunti legami tra un esercito di politici della Basilicata e l’immancabile criminalità organizzata. Roba fortisima. Il tribunale del riesame respinge tutte le 51 richieste di arresto. Capitolo chiuso.

Segue un caso ancora più clamoroso nel 2006. Vittorio Emanule II in manette non sarebbe scandaloso in sé, avendo il sovrano sulle spalle l’uccisione di un ragazzo colpevole di disturbare l’augusto suo riposo alla fine dei ‘ 70. Il magistrato però lo ammanetta con altre accuse, tra le quali al primo posto lo sfruttamento della prostituzione.

Sui giornali arrivano intercettazioni che neppure Travaglio riuscirebbe a far passare per collegate all’inchiesta, come i giudizi sprezzanti dell’aristocratico su Giuliana Sgrena, fresca di tragico sequestro a Baghdad. Gli imputati, ex re incluso, vengono tutti prosciolti. Vittorio Emanuele incassa la sola bella figura di tutta la sua incresciosa esistenza.

Incurante dei colpi bassi riservatigli dalla sorte infame, il sostituto continua a mirare alto. Alla fine dello stesso anno indaga su "Vallettopoli" un’altra di quelle inchieste che mandano la stampa rosa in sollucchero e vellica le fantasie porno di mezzo Paese.

Si parte da un presunto e turpe commercio carnale, per nulla disinteressato, tra il portavoce dell’allora ministro Fini Salvatore Sottile e la star del piccolo schermo Elisabetta Gregoraci. Stando alla diretta interessata il pm avrebbe insistito per dettagliate descrizioni del commercio medesimo. Sottile ci rimette la carriera, l’inchiesta si allarga fino a coinvolgere a vario titolo Lele Mora e Fabrizio Corona. Un processo che al confronto Sanremo fa la figura di una bettola per fanatici del karaoke finisce con Corona condannato. Tutto il resto è fuffa.

Come lo è anche il caso P4 del 2011, che già dal nome evocava pupari incappucciati e associazioni per delinquere di quelle che nemmeno Cosa nostra. Però prima una sentenza del riesame, poi la Cassazione, certificano l’inesistenza di detta associazione.

Non sono gli unici casi incresciosi nella non sfolgorante carriera di John Henry: l’elenco potrebbe proseguire. Ma anche gli orologi rotti due volte al giorno segnano l’ora esatta. Nei circoli renziani non ne trovi uno che non stringa le dita ben intrecciate pregando che l’inchiesta che coinvolge Tiziano Renzi e Luca Lotti non sia proprio quel malaugurato caso.