Il neonato Movimento democratico e progressista potrebbe avere un ruolo determinate in caso di mozione di sfiducia al Senato per il ministro Lotti. A Palazzo Madama, infatti, le “truppe” degli ex Pd occupano quattordici scranni. E Se Forza Italia sposasse le linea dura di 5 Stelle e Lega per fare uno sgambetto a Gentiloni, i voti del gruppo scissionista sarebbero decisivi. «È un passaggio gravido di conseguenze politiche, ma non si può far finta di nulla», spiega Alfredo D’Attorre, deputato Mdp uscito dal partito di Renzi già a novembre 2015, molto prima di Bersani e Speranza.

Dunque, voterete la mozione di sfiducia a Lotti depositata dal Movimento 5 stelle?

Abbiamo chiesto al ministro di fornire chiarimenti che non possono ridursi a un post su facebook. E quando la mozione arriverà in Parlamento, sulla base degli elementi forniti da Lotti, decideremo la nostra posizione.

Che chiarimenti vi servono da un punto di vista politico?

Lotti è stato investito da sospetti molto seri e vorremmo capire ad esempio perché il ministro non abbia denunciato nelle sedi opportune chi lo accusava.

E se i chiarimenti che cercate non arrivassero?

Riuniremo i gruppi e decideremo cosa fare, non mi chieda considerazioni personali, sarà una va- lutazione collettiva molto seria. Non ci interessa fare sciacallaggio ma neppure chiudere gli occhi rispetto alla gravità del quadro che sta emergendo.

Un’eventuale sfiducia a Lotti pregiudicherebbe il cammino del governo Gentiloni?

È un passaggio gravido di conseguenze politiche ma non si può far finta di nulla. Sarebbe doveroso che, se Lotti non fosse in grado di dissipare senza equivoci le ombre che si sono addensate su di lui, provvedesse lui stesso a fare un passo indietro, come già avvenuto in questa legislatura per altri ministri.

Solo che non erano ministri così vicini a Matteo Renzi...

Non credo che possa valere il criterio dei due pesi e delle due misure. Oltre all’inchiesta giudiziaria che farà il suo corso, c’è una gigantesca questione politica che va affrontata. Ci sono delle questioni di principio sulle quali nessuno di noi è disposto a transigere.

Crede che questa vicenda avrà ripercussioni anche sul congresso del Pd?

Il Pd in quanto tale non esiste più, è venuto meno il tessuto connettivo ideale di quel partito. Allo stato, mi pare piuttosto improbabile che la leadership di Renzi venga messa in discussione. Anzi, in questo contesto le primarie diventeranno ancor più una conta tra cordate, senza alcun confronto di idee. Ci sarà un’ulteriore fase del processo di disarticolazione del Pd: se vincesse Renzi, buona parte di coloro che oggi sostengono i candidati alternativi uscirebbero dal partito, se l’ex premier perdesse, invece, si metterebbe subito dopo in proprio. Sono mondi che ormai fanno fatica a comunicare.

L’uomo chiave per la vittoria di Renzi rimane Dario Franceschini. Crede che possa decidere di abbandonare la nave per evitare schizzi di fango?

Franceschini è un uomo pratico e intelligente e ha capito che il progetto originario del Pd non c’è più. Quel partito è destinato a ridursi a una specie di Margherita rutelliana con qualche indipendente di sinistra. Il ministro della Cultura sosterrà Renzi finché lo considererà utile in questa funzione. Se dovesse percepirlo come un ostacolo cercherà un’altra soluzione. Ma mi sembra evidente che in questo momento non ci sia nessuno in grado di rimettere insieme i cocci del progetto originario.