Giusto per vellicare il sulfureo furore della polemica, si può controbattere a Luigi Di Maio, pentastellato vicepresidente della Camera che invoca l’Armageddon contro i partiti se non cancellano i vitalizi: macché eliminazione, casomai raddoppiamoli. Come gli stipendi, che oggi i parlamentari si aumentano nascondendoli nelle pieghe procedurali di questa o quella leggina per timore della reazione popolare: raddoppiamo anche quelli, e alla luce del sole. Deputati e senatori, confermati nel loro insostituibile ruolo istituzionale da un referendum appena celebrato e ( stra) vinto con l’apporto decisivo del M5S, devono essere considerati come tutti gli altri lavoratori: e infatti come tutti se guadagnano di più, rendono di più. Un Parlamento povero è più facilmente ricattabile; onorevoli e senatori malpagati opteranno per il doppio impiego. Ed è meglio non indagare quale sia.

L’Italia è il Paese dei paradossi, la politica non fa eccezione. Quello appena descritto è particolarmente urticante, considerato il maistream che aleggia e che vuole gli onorevoli categoria massima e privilegiata di fannulloni perdigiorno o, a peggio, faccendieri e perfino corrotti. O - perché no? - le due cose assieme. Tutti, indistintamente o quasi.

Però i paradossi aiutano a fare bella figura nei salotti. La realtà è un’altra.

La realtà è che l’antiparlamentarismo, variamente articolato, spinge il dibattito politico su un piano inclinato al fondo del quale invece della salvezza c’è il pericolo del definitivo default del Paese. E’ una spinta risultato di un’anti- cultura che immiserisce i più deboli ed esalta le capacità manovriere dei più forti. Uno specchietto per le allodole che rappresenta un formidabile aiuto ai tanti che gli endemici mali italiani invece che curarli puntano ad affossarli sotto una coltre di superficialità condita dalla giusta dose di invettive.

Non sono tesi facile da sostenere: soprattutto non sono popolari. Anche perchè i primi a danneggiare l’immagine del Parlamento e dei suoi frequentatori spesso sono proprio i parlamentari. Salvo poi trovare sui divanetti del Transatlantico, mollemente seduti, parecchi di quelli che da fuori ferocemente contestavano. E’ un fatto: nel dopoguerra, la politica e i partiti raccoglievano e convogliavano le migliori energie del Paese: se interrogati, è facile immaginare che oggi sarebbero pochi gli italiani pronti a sostenere la stessa cosa. Del resto dalle nostre parti l’antiparlamentarismo è un fiume carsico che periodicamente appare e scompare senza mai prosciugarsi. Non c’è bisogno di attendere il pallone aerostatico di Beppe Grillo: negli anni ‘ 20 del secolo scorso Guido Keller, aviatore esibizionista e sodale di D’Annunzio nell’impresa di Fiume, volò su Montecitorio e vi lasciò cadere un pitale con tanto di dedica: «Al Parlamento e al governo che si reggono da tempo con la menzogna e la paura, la tangibilità allegorica del loro valore». Pochi anni dopo, arrivò Benito Mussolini e la sua «aula sorda e grigia». Passata la Resistenza e la Liberazione, a metà degli anni ‘ 80, da premier Bettino Craxi tuonò contro Camera e Senato capaci di legiferare «sull’eviscerazione degli animali da cortile e sull’allevamento dei molluschi eduli lamellibranchi» tralasciando ben più vitali provvedimenti. Nell’estate del 2004, Silvio Berlusconi, anche lui nei panni di premier, se la prese con la Camera alta e con i senatori «che ogni volta cambiano qualcosina ad ogni legge per dimostrare alla moglie che non vanno a Roma solo perché hanno l’amante». Si potrebbe continuare a lungo, ma è inutile.

La realtà è che ogni sistema democratico è tale perché si regge su istituzioni elette dai cittadini che hanno il compito di fare le leggi e controllare, in modalità che cambiano da Paese a Paese, l’attività del governo. Depotenziarle con l’accusa che non svolgono bene il loro compito - e senza per questo chiudere gli occhi su difetti e insufficienze ma piuttosto adoperarsi per combatterle senza se e senza ma - incrina la democrazia, non la salva. Men che mai quando sono gli stessi che siedono sugli scranni a incitare i cittadini a rivoltarsi contro le assemblee legislative: un “sottosopra” che avvelena i pozzi e semina disaffezione senza aver chiaro dove si va a finire.

Facile a questo punto sentir suonare le campane dell’accusa di correità con gli “onorevoli fannulloni” nei riguardi di chi difende ruoli e prerogative parlamentari. Però l’altro ieri tutti i media riportavano che un italiano su due dichiara meno di 15 mila euro all’anno e appena cinque su cento garantiscono il 40 per cento delle entrate Irpef. Non si potrebbe fare una bella marcia con annessa manifestazione contro i furbetti del fisco che sottraggono ricchezza e barano con i concittadini onesti? E ancora. Secondo stime del Corte dei Conti considerate attendibili solo per difetto, ben 60 miliardi l’anno alimentano il circuito della corruzione. Non sarebbe il caso di invitare alla sollevazione contro un fenomeno che brucia risorse e alimenta il malaffare?

Diciamo la verità: attaccare il Parlamento sui vitalizi - e non per esempio scagliarsi contro le spese di Regioni ed enti locali, partecipate comprese - significa sparare sul bersaglio grosso consapevoli di acquisire consenso a buon mercato e senza pagare dazio. Mandare sms ai talk politici invocando elezioni anticipate sempre per non pagare i vitalizi e non per spiegare perchè è conveniente ( o no?) per gli italiani andare alle urne; oppure invocare la gratuità del mandato parlamentare «come a Cuba» tralasciando di indicare tutte le altre magnificenze dell’isola sulla libertà di stampa, di organizzazione politica, di tutela delle minoranze eccetera vuol dire scherzare con il fuoco dell’antipolitica che prima o poi brucia tutti. Compresi quelli che intorno a quel falò hanno ballato, sorridenti.