Camus. Pasolini. Testori. Cortázar. Bolaño. Coglierne le inflessioni, riscriverne le opere attraverso il corpo, carpirne retroscena e suggestioni: atto creativo e gestuale che ben compendia il percorso più che ventennale dell'attore Fabrizio Gifuni. Il ciclo L'attore e il suo doppio, in scena al Teatro Vascello di Roma, prende avvio con Lo Straniero. Un'intervista impossibile – per proseguire con Ragazzi di vita (martedì 7 e mercoledì 8), Il Dio di Roserio (giovedì 9 e venerdì 10) e, in chiusura, Un certo Julio (sabato 11 e domenica 12). «Le parole provenienti dai corpi dei loro autori – scandisce Gifuni – si depositano sulle pagine di un libro all'unico scopo di essere trasmesse. Finché un attore le stacca dalla dimensione orizzontale in cui occasionalmente si trovano per rimetterle in verticale, riportandole alla loro sede originale, facendosene nuovamente carico. Dal corpo dello scrittore al corpo di scena». Attivo anche nel campo del cinema – ha interpretato, fra gli altri, Il partigiano Johnny (1999) per la regia di Guido Chiesa, La meglio gioventù (2002) e Romanzo di una strage (2012), entrambi a firma Marco Tullio Giordana, Il capitale umano (2013) di Paolo Virzì e Fai bei sogni (2016) di Marco Bellocchio – e in quello televisivo – in fiction quali Alcide De Gasperi (2005), regia di Liliana Cavani, e C'era una volta la città dei matti (Franco Basaglia) (2009), diretto da Marco Turco –, l'attore romano si è spesso mosso fra letteratura e teatro, individuandone nessi e complementarità, come testimoniano i passati tributi resi a Pavese – Non fate troppi pettegolezzi (omaggio a Cesare Pavese), regia dello stesso Gifuni, – Pasolini ('Na specie di cadavere lunghissimo, 2004, Premio Istryo e Golde Graal), Gadda e Shakespeare (L'ingegner Gadda va alla guerra o della tragica istoria di Amleto Pirobutirro, 2010, Premio Ubu), questi ultimi per la regia di Giuseppe Bertolucci. La sua versione de Lo Straniero. Un'intervista impossibile, che andò in scena per la prima volta nel 2014 sotto la direzione di Roberta Lena, gli valse due anni dopo il premio Le Maschere del teatro italiano come miglior attore in un monologo, mentre al 2015 risale l'esordio del Reading-spettacolo Ragazzi di vita. Allo studio dei testi corrisponde una specifica drammaturgia teatrale che ridefinisce lo spazio scenico in termini di rito, di fisica ostensione della parola scritta e interpretata, mutando la riproducibilità tipografica del libro nell'irripetibile esclusività dell'attimo scenico. «Dietro ogni rito – confessa l'attore – c'è sempre un capro da sacrificare. Talvolta quel capro siamo noi. Ma con un po' di coraggio e molto divertimento si può giocare anche con il minotauro. Assumerne le fattezze, trovare il suo respiro, impararne il verso. Infanzia, desiderio, memoria, immaginazione. E il gioco è fatto».