Non è certo la prima volta che Ignazio La Russa si trova a vivere una fase di transizione politica travagliata quanto questa. Il centrodestra intorno a lui è cambiato, e parecchio, dai tempi in cui faceva il Ministro della difesa nel IV governo Berlusconi. C’erano già stati la svolta di Fiuggi e l’invenzione del Pdl. Oggi La Russa gioca con una maglia con cui si sente più a suo agio, quella di Fratelli d’Italia che punta a diventare azionista di maggioranza della coalizione che verrà.

Quando si dovrebbe andare al voto? E quando si andrà?

Mi sembra pacifico che dopo il risultato del referendum costituzionale con la vittoria del no e soprattutto l’incredibile partecipazione popolare che in pochi si aspettavano alla vigilia, ci troviamo davanti ad un giudizio travalica il merito della riforma e contiene un messaggio preciso: i cittadini vogliono le elezioni subito. Qui non si tratta né di dare ragione a D’Alema o a Renzi, ma di decidere di andare a votare il prima possibile, altrimenti restiamo prigionieri di una situazione interna al Pd.

Berlusconi sembra valutare l’autunno come data più probabile per le elezioni ed è già in campagna elettorale. Come valuta la sua svolta sociale con il “lavoro di cittadinanza”?

Innanzitutto voglio porgere la mia piena solidarietà a Berlusconi. Trovo ingiusto che la Corte di Giustizia europea non abbia ancora deciso sul suo ricorso e considero una vera ingiustizia averlo privato del diritto di elettorato passivo. Credo inoltre che Berlusconi sia bravissimo in campagna elettorale, come ha dimostrato in passato, e lo sarà anche stavolta. Il tema scelto è anche giusto.

Però…

C’è anche un dato su cui interrogarsi e cioè sul fatto che la situazione attuale non consente più la decisione a monte dei leader della coalizione. Questa scelta deve avvenire attraverso le primarie o con il voto popolare. Mi sembra che ci si stia arrivando ad esempio con la proposta che prevede l’opzione secondo la quale il capo della coalizione viene individuato nel capo della lista che raccoglie il maggior numero di voto alle elezioni.

Davvero questa “opzione” la convince?

Come seconda scelta sì. La strada maestra ovviamente rimane quella delle primarie disciplinate per legge, anche per accontentare chi dice che non si possono fare senza un’adeguata normativa che le regolamenti. Ci sono i tempi per farle di coalizione. Se Berlusconi si candida e le vince non avrò certo nulla da obiettare. Ma non si dovrà obiettare neanche se attraverso le primarie venisse eletto un soggetto diverso che il nostro popolo valutasse più idoneo a battere la sinistra e i grillini.

Con che legge elettorale? Continuate a sostenere il “fratellum”?

Certamente. Si tratta di una proposta semplice e al contempo fortemente innovativa. Partiamo dall’Italicum per adeguarlo alla pronuncia della Corte Costituzionale. Lo facciamo abolendo il ballottaggio e introducendo il premio di maggioranza alla coalizione, non al singolo partito, ed in un modo diverso. Questo premio sarà leggermente inferiore al 40%, lo abbiamo fissato al 37%, e darà diritto ad un numero minore di seggi, passando da 340 a 330. La nostra proposta di legge prevede poi l’eliminazione dei capilista bloccati perché riteniamo che tutti debbano essere eletti con le preferenze. Il capolista può essere presente anche in tutti i collegi. E questo potrebbe essere un modo surrettizio per indicare il leader della coalizione. Da sottoporre al Capo dello Stato nel caso in cui non ci dovessero essere le primarie.

Sembrerebbe una forma soft di presidenzialismo…

Avere più liste nella stessa coalizione e il capolista presente in tutti i collegi sarebbe un modo per avvicinarsi ad una riforma che non hanno voluto fare in senso presidenzialista.

E la maggioranza al Senato? Come la si rende omogenea a quella della Camera?

Al Senato la proposta prevede un collegio grande come tutta una Regione elezioni e le stesse modalità di voto. Il premio di maggioranza, sempre al 37%, però sarà attribuito alla coalizione che vince il collegio, ma solo se ha vinto le elezioni. Altrimenti i seggi si ripartiscono in modo proporzionale.

In Liguria Giorgia Meloni ha proposto la lista unica delle forze di centrodestra. Toti gradisce, Berlusconi un po’ meno. Lei che ne pensa?

Credo di essere stato insieme alla Meloni un precursore di questa tesi. Avevo ipotizzato che si potesse sperimentare non solo in Liguria ma anche a Palermo, per avere un test sia al Nord che al Sud. Perché funzioni però serve un programma molto chiaro, delle colonne d’Ercole molto precise, come, per esempio, l’impegno a non appoggiare un governo con la sinistra per non ripetere gli errori del passato. Anzi a tal proposito credo che mai come oggi occorra una legge che impedisca la trasmigrazione da un partito ad un altro.

L’esperimento sarebbe replicabile a livello nazionale?

Per il momento è immaginabile per le amministrative. Magari dopo uno o due test si potrebbe valutare anche per le politiche se ce ne fossero le condizioni. Personalmente non sono mai stato contrario. Cero l’esperienza del Pdl è stata un disastro, ma perché si è arrivati alla fusione senza un’adeguata preparazione. Questa volta, invece, sarebbe diverso e si partirebbe dal programma.

I confini di questa coalizione? Alemanno e Storace?

Guardi, Alemanno e Storace hanno avuto tutte le possibilità per tornare a dialogare con noi, ma non hanno voluto. Prima la decisione di appoggiare Marchini alle amministrative e poi alla riunione della Fondazione quando la Meloni aveva teso la mano. Scelte sbagliate e tatticismi esasperati rendono impossibile anche solo ipotizzare un’intesa. La Meloni dice bene, anche se a me questa cosa dispiace un po’ di più per una questione generazionale.

E verso il centro? Alfano e Verdini?

Noi qualche tempo fa abbiamo dato vita ad una manifestazione per l’Italia alla quale hanno preso parte Quagliariello, Fitto, Tremonti e tanti altri. Il problema è il programma e non la targa che ci si porta dietro. Sfumature diverse ci possono essere ma l’intesa di fondo su immigrazione, sicurezza, lavoro è fondamentale. Così come lo è il modo di intendere il rapporto con l’Europa. Anche perché tutte queste questioni non sono affrontabili senza riconquistare la piena sovranità italiana. Il vero elemento centrale è il rapporto con l’Europa.