«Sono stato sequestrato dallo Stato italiano per un reato mai commesso». Angelo Massaro parla con il Dubbio dopo 21 anni passati in cella, cercando di farsi ascoltare ma ci hanno messo la metà degli anni che ha per dargli ragione. Oggi, a 51 anni, ha il resto della sua vita davanti. Ma la sua giovinezza l’ha passata a scontare una condanna per aver ammazzato il suo amico, Lorenzo Fersurella, ucciso il 22 ottobre 1995 in Puglia. Ventuno anni in carcere sui 24 inflitti dalla giustizia, dopo i quali è stato riconosciuto innocente. Il giorno dopo il processo di revisione celebrato a Catanzaro, Massaro racconta i suoi anni in cella, arrestato per una telefonata male interpretata dagli inquirenti. «Sette giorni dopo la scomparsa del mio amico ho telefonato a mia moglie, dicendole di preparare il bambino per portarlo all’asilo. Ho detto questa frase: «Faccio tardi, sto portando u muers» – racconta al Dubbio -. Portavo dietro alla mia auto una piccola pala meccanica per fare dei lavori edili per mio padre. Questa frase l’ho detta davanti ad un’altra persona ma nessuno l’ha mai sentita». E nessuno, quel giorno, verifica cosa effettivamente Massaro stia trasportando. Fosse stato lui, avrebbero potuto beccarlo con le mani nel sacco. Invece prima di interrogarlo passano quattro mesi. «Mi chiesero se ero mai stato a San Marzano, senza spiegarmi perché», dice. L’arresto scatta sette mesi dopo quella telefonata. «Era il 16 maggio 1996. Mi stavano arrestando per aver ammazzato una persona che consideravo un fratello, l’uomo che aveva battezzato il mio figlio più grande, che avrebbe dovuto battezzare anche il piccolo, il mio compare d’anello – racconta -. Sono stato privato dell’affetto dei miei figli, della possibilità di vederli sorridere, piangere, di una carezza. Ero incredulo ma avevo fiducia. Pensavo: ora ascolteranno la telefonata e capiranno». Invece prima che qualcuno capisca l’equivoco ci vuole molto tempo. Più la vicenda va avanti, più diventa grossa. «Come potevano pensare che qualcuno trasportasse un cadavere sette giorni dopo un omicidio alle 8.30 del mattino? Perché non mi hanno sentito subito? Avrei potuto di- mostrare tutta la verità subito». Nessuna risposta a queste domande.

Massaro rimane fiducioso anche nel corso del processo. Al punto che la difesa rinuncia ad ascoltare testimoni, sapendo che nessuna prova può dimostrare la sua colpevolezza. «I testimoni dell’accusa non hanno dato elementi utili», spiega infatti. All’improvviso, però, l’accusa tira fuori un pentito. «Ci siamo opposti ma non è servito – racconta Massaro -. Il collaboratore ha soltanto detto che secondo lui avrei potuto ucciderlo io il mio amico, tutto qua. Può bastare questo? Non credo». Per tre gradi di giudizio, invece, è bastato. In appello i legali chiedono una nuova perizia sulla telefonata e l’audizione di altri testimoni, «ma ci è stato negato». E non serve nemmeno la testimonianza dei carabinieri di Roma, che hanno spiegato come il tono di voce, nella telefonata, fosse tranquillo e come quella parola incriminata – “muers” – possa avere diverse interpretazioni. Nemmeno le sentenze hanno chiarito cosa sia accaduto quel lontano giorno di ottobre, quando Fersurella venne ucciso. «Lo stesso procuratore generale di Catanzaro ha criticato la sentenza, definendola piena zeppa di errori», racconta.

Il carcere. «Ho vissuto 21 anni di incredulità e rabbia. Non ho mai accettato questa condanna, tremendamente ingiusta. Ho sempre lottato, studiato sui codici e due anni fa mi sono iscritto a giurisprudenza a Catanzaro. Mi ha portato avanti la rabbia, la sete di giustizia e verità», racconta ora come un fiume in piena. Quelli in carcere sono stati anni di abusi di potere e violazione dei diritti umani. «Il ministero della Giustizia mi ha sempre considerato pericoloso e fatto girare per molte carceri. Mi hanno ritenuto insofferente nei confronti delle regole penitenziarie». E per sette anni, dal 2008 al 2015, non ha potuto vedere i suoi figli. «Il tribunale aveva certificato il loro stato di depressione causato dalla lontananza del padre da casa. Nonostante il magistrato di sorveglianza di Catanzaro abbia richiesto il trasferimento a Taranto, vicino ai miei figli – denuncia -, il Dap si è completamente disinteressato». Le condizioni di vita dietro le sbarre sono state a volte intollerabili. In cella, ad esempio, mancava l’acqua «e mi lavavo con quella delle bottiglie, che ero io a comprare. E cosa è successo? Mi hanno punito con l’isolamento per lo spreco d’acqua. Questa è solo una parte delle cose subite. Ho visto gente perbene ma anche tanta violenza».

La vita fuori. Angelo Massaro oggi è nella sua casa. Spaesato, felice e arrabbiato al tempo stesso. E vuole capire, vuole sapere perché sono stati commessi degli errori. «Non do la colpa a nessuno, chiedo solo che vengano fatti degli accertamenti, perché privare della libertà una persona a 29 anni è crudele e in uno stato di diritto è immorale», dice. E invita a riflettere sullo stato della giustizia in Italia, alla luce anche dei numerosi processi di revisione partiti negli ultimi anni, sintomo di un sistema da rivedere. «Chi sbaglia è giusto che paghi ma un giudice prima di condannare una persona e privarla della vita e dei sui affetti deve chiedersi se lo fa oltre ogni ragionevole dubbio – evidenzia -. Non provo rancore, voglio solo capire se questo errore poteva essere evitato». Tornare a casa è stato strano, dice. Un’emozione che richiederebbe parole nuove. Anche perché alla gioia di rivedere la moglie – che all’epoca aveva solo 22 anni – e i suoi due figli, il più piccolo dei quali era nato soltanto da 45 giorni, aumenta la sua frustrazione. «Perché ho fatto questi 21 anni di carcere?», si chiede quasi ad intervalli regolari. Perché, ripete, è il carcere ciò che non riesce ad accettare, «ma la condanna per un crimine così efferato – ha concluso -. Non potevo sopportare che mi si accusasse della morte di un mio amico, non volevo che la mia famiglia venisse additata. Ho lottato, non mi sono mai arreso. Ma spesso mi chiedo: se fosse capitato a qualcuno meno forte di me e si fosse ammazzato, chi avrebbe reso giustizia per lui?».